Se qualcuno si era illuso che giovane significhi necessariamente innovativo, talune affermazioni del neo-ministro Marianna Madia possono servire a cambiare idea. Il nuovo responsabile del dicastero della Semplificazione ha infatti usato tesi assai logore per giustificare una circolare che penalizza quanti lavorano anche in tarda età (integrando il reddito pensionistico con altri anni di lavoro) e tutto questo sulla base dell'idea che «in un'epoca in cui oltre il 40% dei giovani non trova lavoro, un milione e mezzo di persone, tra pubblico e privato, cumula lavoro e pensione». Fortunatamente, la norma per ora riguarda solo i pubblici dipendenti e oltre una soglia di 311mila euro annui. Però è chiaro che adesso si interviene nel pubblico e per la fascia più alta non già per eliminare retribuzioni e pensioni magari esageratamente alte (poiché è indubbio che l'alta burocrazia di Stato sia troppo folta ed eccessivamente retribuita), ma per aumentare gli impieghi impedendo ai pensionati di continuare a lavorare. E infatti la Madia, nella stessa intervista, ha sostenuto che chi percepisce una pensione oltre sei volte la minima (circa 3mila euro lordi mensili) e continua ad avere entrate lavorative dovrebbe lasciare metà del proprio vitalizio allo Stato. Questa impostazione è del tutto sbagliata. Ormai è chiaro che non si può assolutamente pensare a future generazioni di persone anziane che, già a 65 anni, taglino ogni rapporto con la professione. Da vari punti di vista (comprese la salute fisica e quella mentale), è importante che le persone più avanti nell'età continuino a restare in contatto con l'universo del lavoro. Ovviamente non si può pretendere che chi da tempo non ha più quarant'anni possa essere impiegato come succedeva prima, ma se intende darsi ancora da fare è importante che sia incoraggiato, e non già ostacolato.
Grazie all'alimentazione e alle cure mediche, avremo generazioni di persone che vivranno sempre più a lungo. Sarebbe assurdo ipotizzare che per una lunga parte dell'esistenza tutti costoro siano messi ai margini: che siano costretti ad andare ai giardinetti o al bar anche quando avrebbero ancora la voglia e la possibilità di essere attivi, continuando - anche a un ritmo ridotto - l'attività che conducevano negli anni precedenti. C'è poi un'altra considerazione: che riguarda il reddito di chi è anziano o lo sarà negli anni a venire. Il sistema previdenziale di concezione socialista costruito nel corso del Novecento è destinato a fallire. In Italia, in particolare, avremo pochi giovani costretti a finanziare ben magre pensioni a molti anziani. In tale situazione permettere di lavorare a chi è avanti nell'età, integrando una pensione che sarà per forza di cose assai modesta, può aiutare ad attenuare alcuni aspetti più sgradevoli della situazione in cui ci si è cacciati. Perché allora questo accostamento tra gli anziani che lavorano e il 40% dei giovani disoccupati? Il ministro Madia sembra dar fede all'idea che il lavoro è come una torta: una quantità predefinita. Se gli anziani già in pensione ne prendono qualche pezzo, ai giovani ne rimane una quota inferiore.
Questa tesi è infondata, dal momento che le dimensioni della «torta» dipendono fondamentalmente dall'inventiva delle persone, dalla disponibilità a sgobbare e dalla qualità delle regole. Ovviamente la torta è più grande - e quindi c'è più lavoro - dove chi vuole lavorare, impegnarsi e mettersi al servizio del prossimo è meno ostacolato.
di Carlo Lottieri
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