La voce di Scajola dal carcere: "In cella finché chiarisco tutto"

La nuova vita da detenuto dell'ex ministro: tv, solo tre giornali e studio degli atti d'inchiesta. "Resterò dentro per il tempo necessario. I giudici capiranno, ho aiutato una donna disperata"

La voce di Scajola dal carcere: "In cella finché chiarisco tutto"

Si guardano per un attimo, l'eurodeputata e il suo leader, senza parlare. Claudio Scajola è arrivato al suo undicesimo giorno di cella a Regina Coeli. Susanna De Martini temeva di trovarsi di fronte l'uomo scosso, quasi stralunato, che le immagini dei Tg e dei siti web rimbalzano da allora senza interruzione, mentre viene portato via dagli uomini della Dia. Invece è lui, lo Scajola di sempre. «Susy, devi provare a immaginare - dice l'ex ministro dell'Interno - mi sono arrivati a prendere in tredici. In tredici! L'unica cosa che riuscivo a vedere in quel momento erano le pettorine con su scritto Dia. Io sono stato ministro dell'Interno, la Dia so bene che cos'è, in quei momenti riuscivo solo a domandarmi cosa potessi avere io a spartire con una indagine della Dia. Adesso che ho capito di cosa mi accusano sono molto più sereno».
Le carte dell'inchiesta sulla latitanza di Amedeo Matacena, e sull'aiuto che Scajola avrebbe dato alla fuga del compagno di partito, sono lì, impilate sui due tavolini della cella dell'ex ministro, costellate di post-it gialli. «Il mio lavoro in questo momento è cercare di capire come si sia arrivati ad accusarmi di questi reati», dice il detenuto. «Da un paio di giorni mi hanno messo la televisione e posso leggere i giornali. Non tutti, solo tre». Abbastanza per seguire in diretta gli sviluppi mediatici dell'indagine che lo riguarda, capire come alle accuse per la latitanza di Matacena adesso si stiano aggiungendo altre ipotesi, altri sospetti, come quello sul suo archivio sequestrato dagli inquirenti, e che ora si trova chiuso in una cassaforte della Dia di Genova, oltre cento faldoni che (fanno sapere ieri gli investigatori) richiederanno un lungo lavoro di analisi. E altro lavoro servirà agli hacker della procura per forzare password e recuperare file cancellati nei computer pure sequestrati. Ma Scajola non ha fretta. E alla De Martini annuncia una decisione inattesa: «Voglio restare qui dentro, in galera, per tutto il tempo necessario. Ho fiducia nei giudici, e so che quando avranno finito di fare tutte le verifiche dovranno prendere atto che io non ho fatto assolutamente niente di male. Ho aiutato una donna, la moglie di un amico, che era in difficoltà drammatiche. Niente altro. Si prendano tutto il tempo di cui hanno bisogno. Io ora non voglio uscire perché non voglio che quando la verità verrà a galla qualcuno pensi che sono stato io a condizionare l'inchiesta, a inquinare le indagini. Uscirò dopo, a testa alta».
Scajola è rasato di fresco, golfino blu. «Stamattina l'ho dedicata a pulire la cella», sorride. Chiede del partito, delle elezioni imminenti. La De Martini gli racconta la battutaccia che le avrebbe fatto il coordinatore regionale del partito in Liguria, quando l'ha vista preoccupata per le sorti dell'amico arrestato («Perché non ti metti al braccio la fascia a lutto?»). «Eh, Susy - commenta Scajola - ognuno ragiona con la testa che ha...». «Ma tu come ti spieghi tutto questo - chiede l'eurodeputata - pensi anche tu che l'abbiano fatto per bilanciare l'inchiesta Expo?». Lui sorride, non risponde. «Stai tranquilla - le dice - io di questi magistrati ho fiducia». Dalle carte si scopre che i pm lo accusano persino di avere invitato la moglie di Matacena a non frequentare un armatore siciliano conosciuto in crociera, perché inquisito «per cose complicate».

«Mettiti nei miei panni - dice ieri Scajola alla De Martini - la moglie di Matacena è una donna disperata con due figli, il marito a migliaia di chilometri. L'ho aiutata, le ho dato dei consigli, e non me ne vergogno. Verrò assolto anche stavolta, vedrai».

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