Gli interrogativi sull’omicidio Fortugno

Egregio Direttore,
in ordine all’articolo pubblicato dal suo giornale in data 26.11.06, alla pagina 8, dal titolo «Caso Fortugno, guerra tra procure sui mandanti politici dell’omicidio», le chiedo di pubblicare la seguente precisazione con pari evidenza.
1. Ho sempre chiesto agli inquirenti e agli investigatori che si occupano delle indagini per l’omicidio di mio marito di indagare in tutte le direzioni e a tutti i livelli, senza fermarsi davanti a nessuno e costi quel che costi addirittura, ho chiesto l’intervento della Dna, nella persona del Procuratore Nazionale, Dott. Piero Grasso.
2. Ritengo, infatti, che l’omicidio del Vice Presidente del Consiglio Regionale della Calabria rappresenti un attacco alla sovranità e alla tenuta democratica della Calabria. La scoperta dei colpevoli non è un interesse solo della sua famiglia ma anche l’occasione per interrompere la costante impunità a cagione della quale è ritenuto sempre più facile commettere un omicidio piuttosto che altri atroci delitti. Se la catena di impunità non sarà interrotta, a partire da questo caso, la Calabria entrerà in un baratro per tutti senza vie d’uscita e l’omicidio politico diverrà la via ordinaria per eliminare l’avversario politico.
3. Ho espresso al Presidente della Repubblica l’urgenza di intervenire in Calabria con misure adeguate per contrastare il fenomeno più pericoloso e subdolo di criminalità organizzata, capace di infiltrarsi e inquinare le amministrazioni pubbliche, le imprese economiche, le dinamiche sociali in atto nelle nostre comunità.
4. Per questo motivo ho denunciato l’esistenza di una borghesia mafiosa che tenta di assumere una supremazia sociale ed economica utilizzando il metodo mafioso come strumento per acquisire ulteriore potere. Tale fenomeno interessa indifferentemente sia i partiti di centro destra che di centro sinistra, che hanno fatto pochissimo per prendere coscienza della sua pericolosità.
5. È chiaro che non posso riferire o commentare quanto ho dichiarato agli inquirenti, ma ritengo di avere dato la massima collaborazione, senza pretendere di indirizzare le indagini perché, in questo caso, avrei potuto depistare le stesse e, pertanto, far sì che non si giungesse alla verità e alla scoperta dei mandanti dell’omicidio di Franco. È altrettanto chiaro, però, che tutte le attività di mio marito sono al vaglio degli inquirenti. Anche quelle che aveva in solitudine denunciato senza che nessuno abbia mai seriamente avviato alcuna attività di verifica. Altro che quiescenza o dimenticanze! Si vadano a riprendere le moltissime denunce inascoltate di mio marito. Io non so se dietro quelle denunce si nasconde il mandante o i mandanti del suo omicidio ma so che quelle denunce rimasero chiuse nei cassetti della politica e della magistratura. Chi pretende di svolgere il ruolo di pubblico moralizzatore dovrebbe studiarle, dichiarare perché le ha ignorate. A volte sarebbe necessario interrogarsi sulle ragioni profonde di chi vanta i vessilli dell’antimafia, piuttosto che perdere tempo a rincorrere boutades.
6. Per questo motivo non sono interessata e non mi appassiona l’immagine giornalistica che distingue le responsabilità a seconda del colore politico. Così come non mi appassionano le ricostruzioni giornalistiche relative a divisioni o cordate di magistrati in contrasto tra loro. A me interessa, invece, che tutti producano il massimo sforzo nella ricerca della verità.
7. È necessario in conclusione precisare che, attorno a questo caso, si registrano da sempre tentativi di delegittimazione e di depistaggi, tutti, scientemente o inconsapevolmente finiscono per sostenere la posizione di chi vorrebbe mantenere impunità diffuse, senza alcun colpevole. Ad esempio, il fatto che io sia direttore sanitario dell’Azienda sanitaria locrese mi viene erroneamente contestato. Infatti, l’ultimo tentativo in ordine temporale con cui devo confrontarmi, riguarda la mia posizione in seno all’AS n. 9: io ho ricoperto il ruolo di dirigente di struttura semplice del presidio ospedaliero di Locri (vice direttore sanitario non aziendale ma del nosocomio di Locri) con nessun potere autonomo e con compiti delegati, tra i quali non rientravano certamente procedure relative ad appalti.
8. Coloro che manifestano interesse a delegittimarmi devono sapere che la mia domanda di giustizia non sarà in alcun modo indebolita da questi attacchi così come non è subordinata alla politica.

Nella sua lettera al Giornale la signora Maria Grazia Laganà chiede di veder pubblicata una lettera di precisazioni che, ci perdonerà, non precisa o non rettifica alcunché di specifico. Nel documentare ciò che accade intorno alle indagini sul cosiddetto Terzo Livello ci siamo basati scrupolosamente su atti giudiziari (ufficiali e no), su documenti parlamentari e su altre informazioni assolutamente attendibili in quanto ottenute da fonti investigative di massimo livello.

A sollevare interrogativi su alcune contraddizioni della signora Laganà relativamente al comparto sanitario di Locri recentemente commissariato per mafia (dove suo padre ha lavorato per anni e dove lei stessa lavorava insieme al marito) non è stato certo il Giornale, ma l'onorevole Angela Napoli di An, ex vicepresidente di quella Commissione parlamentare antimafia che da qualche giorno annovera proprio la signora Laganà tra i suoi membri in quota Margherita, un partito che - stando sempre a documenti giudiziari – a Roma come in Calabria aiutò nelle elezioni il discusso concorrente che Franco Fortugno temeva e che - sempre stando agli atti giudiziari - era in contatto con il presunto mandante, il presunto autista del commando, il presunto killer di suo marito.
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