Interventi alla Santa Rita I giudici: «Quel chirurgo ossessionato dal denaro»

«Professionisti del reato», «principe delle truffe», «ossessionato dai soldi», «traditore del giuramento di Ippocrate»: e via di questo passo. Per spiegare i quindici anni di carcere inflittigli il 28 ottobre scorso, i giudici del tribunale di Milano non risparmiano giudizi tranchant su Pierpaolo Brega Massone, il chirurgo della clinica Santa Rita condannato per avere effettuato senza motivo decine e decine di pazienti. Dieci anni di carcere sono andati a Pietro Presicci, il principale collaboratore di Brega. Ma la lettura delle imponenti motivazioni depositate ieri - oltre millecento pagine - conferma che, a parte i giudizi etici sul comportamento del chirurgo rampante, il processo ha dovuto farsi largo in una materia assai complicata.
Le truffe al servizio sanitario pubblico, realizzate gonfiando le prestazioni, erano relativamente facili da dimostrare. Ma per incastrare Brega e Presicci sul fronte delle lesioni ai pazienti, il processo ha affrontato la domanda: quegli interventi erano davvero necessari, e davvero con le tecniche impiegate alla Santa Rita? Brega Massone ha sempre difeso con forza il proprio operato e il ricorso costante alla Vats, la videotorascopia. E per condannarlo i giudici hanno dovuto soppesare e confrontare due pareri medici di segno opposto: quello dei consulenti della Procura, e quello dei consulenti della difesa. I giudici non hanno avuto dubbi. I primi sono attendibili. I secondi assolutamente no. Sta qui, di fatto, la ragione delle condanne di Brega e Presicci.
Si legge nelle motivazioni: «Nessun obiezione di metodo può essere mossa ai consulenti dell’accusa, chiamati ad esprimere il proprio parere nelle rispettive specialità, che hanno ricostruito per il tribunale le procedure diagnostiche e terapeutiche praticate dalla comunità internazionale tracciando un quadro generale per ciascun gruppo di patologie che, a ben vedere, i consulenti della difesa non hanno neppure cercato di contrastare, rifugiandosi in una aprioristica e ripetitiva asserzione circa l’onnipotenza della Vats sotto il profilo diagnostico, curativo e palliativo richiamandosi ad una discrezionalità del chirurgo tanto estesa da sconfinare nell’arbitrio». Parole severe per i medici che hanno difeso l’operato degli imputati: «Il lavoro dei principali consulenti della difesa ha invece prestato il fianco a rilevantissime perplessità di metodo, così radicali da determinare il tribunale ad un giudizio aspramente negativo sulla attendibilità delle loro conclusioni. Questi consulenti sono apparsi sin dalle prime battute animati esclusivamente dallo scopo di giustificare il comportamento dell’imputato Brega Massone e di difenderlo ad ogni costo ed aprioristicamente, anche a prescindere dai dati clinici. Ne è risultato un lavoro infarcito di imprecisioni, omissioni e di contraddizioni».
Ci sarebbe stata una terza via, e Brega aveva a un certo punto provato a invocarla: la nomina di un terzo perito, scelto questa volta dal tribunale.

Ma per i giudici non ce n’è stato bisogno: «il tribunale è giunto al termine del lungo cammino istruttorio essendo ormai in possesso in prima persona di tutti gli elementi necessari e sufficienti per giungere ad una decisione nel merito». E per arrivare alla conclusione che in Santa Rita gli interessi del malato erano l’ultimo dei pensieri.

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