È un uomo ufficialmente senza nome. Ma la sua faccia è apparsa sui giornali centinaia di volte, alle spalle di Silvio Berlusconi. È il capo delle sue guardie del corpo, il gruppo ristretto di uomini che vigila sulla sicurezza del Cavaliere. È stato prima carabiniere, poi dipendente Fininvest, oggi è un alto funzionario dei nostri servizi di informazione. Conoscere i suoi segreti significa in qualche modo, di rimbalzo, spiare anche Berlusconi. E proprio questo è quel che è accaduto.
Il telefono del Centurione è stato messo sotto osservazione illegalmente dagli uomini della Divisione Sicurezza di Telecom. Non hanno potuto ascoltare cosa diceva. Ma hanno saputo chi chiamava, da chi veniva chiamato, quante volte, quando, quanto a lungo. Adesso il nome del Centurione spunta in mezzo alle migliaia di carte depositate dalla Procura di Milano a conclusione dell’indagine sull’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e allo spionaggio in cui - secondo gli inquirenti - la security di Pirelli e Telecom si era trasformata sotto la guida dell’ex carabiniere Giuliano Tavaroli. Una serie di operazioni di intelligence parallela condotte dalla squadra di Tavaroli erano venute già alla luce: quella contro il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, contro il colosso delle investigazioni Kroll, contro il Garante per la concorrenza. Ma ora spunta il nome del Centurione, e costringe a domandarsi perché anche l’ombra di Berlusconi fosse finita nel mirino dei Tavaroli boys.
Oltretutto, tra gli spiati c’è un altro uomo chiave dell’apparato di sicurezza del Cavaliere. È Massimo Ceccherini, anche lui ex carabiniere, oggi capo dell’Ufficio Sicurezza del gruppo Mediaset. Anche i dati del suo telefonino sarebbero stati estratti dai computer di Telecom su ordine diretto dei capi della security. Si trattava di iniziative personali di Tavaroli? E cosa sapevano i vertici di Telecom Italia dei metodi seguiti per raccogliere notizie? A carico di Telecom la Procura muove l’accusa di «non avere adeguatamente vigilato» sulla struttura di Tavaroli, «rendendo possibile che commettesse, nell’interesse della società, i reati di cui ai capi 2, 17 e 33». E cioè la corruzione di poliziotti, carabinieri e agenti segreti per realizzare i dossier riservati. Quello che colpisce, nelle 371 pagine del documento notificato ieri, è la incredibile varietà di interessi della struttura di Tavaroli.
L’elenco dei personaggi schedati è composto in stragrande maggioranza di gente qualunque, colpevole solo di avere chiesto l’assunzione in Telecom e quindi sottoposta all’operazione «Filtro». Ma insieme a loro c’è di tutto. Vengono schedati protagonisti del calcio come Christian Vieri (e questo era noto) ma anche il milanista Dario Simic, Luciano Moggi, l’arbitro Fabiani, persino il presidente federale Franco Carraro. Vengono analizzate utenze telefoniche in uso all’Arma dei carabinieri e ai ministeri degli Esteri e della Difesa: tra queste quella dell’ex capo delle relazioni esterne dell’Arma, oggi ai servizi segreti. Sotto tiro il banchiere Cesare Geronzi, l’avvocato Vittorio Ripa di Meana, il costruttore Alfio Marchini. E così pure l’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti, e il capo del personale dell’Eni, Salvatore Sardo. Nonché il generale Stefano D’Ambrosio, già capocentro Sismi a Milano, che con le sue accuse diede il via all’indagine a carico dei nostri 007 per il sequestro del terrorista egiziano Abu Omar.
Insomma, la sensazione è di essere di fronte ad una struttura ormai fuori controllo, che operava in parte nell’interesse aziendale, in parte forse nell’interesse dei propri componenti, e certamente anche sull’onda di una sorta di spinta agonistica, di sfida a tutto e tutti.
Quanto sapesse dell’attività di Tavaroli, Marco Tronchetti Provera l’ha spiegato in un verbale che da stamane è la preda più ghiotta nella caccia alla montagna di carte messe dalla Procura a disposizione degli avvocati difensori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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