Cultura e Spettacoli

Le inutili lezioni di Luigi Einaudi a tutti i governi

Nella biblioteca di un liberale non può mancare Luigi Einaudi. Della sua disputa con Benedetto Croce abbiamo già parlato la settimana scorsa ricordando la bella sintesi fatta da Giuseppe Bedeschi

Le inutili lezioni di Luigi Einaudi a tutti i governi

Nella biblioteca di un liberale non può mancare Luigi Einaudi. Della sua disputa con Benedetto Croce abbiamo già parlato la settimana scorsa ricordando la bella sintesi fatta da Giuseppe Bedeschi. Oggi prendiamo in mano le sue celebri Prediche inutili . L'edizione è quella degli «Struzzi» di Einaudi. La prefazione fu affidata a Leo Valiani. Azionista e poi radicale, oggi potremmo banalmente definirlo un liberale di sinistra. Certamente non un economista. Potete saltarla a pie' pari. Il testo è denso e c'è ancora da imparare.

Il primo capitolo è il celeberrimo: «Conoscere per deliberare». Non abbiamo qui il modo e lo spazio per poter sintetizzare tutto. Andiamo direttamente al cuore della vicenda: «Discorso elementare sulle somiglianze e le dissomiglianze tra liberalismo e socialismo». A differenza degli austriaci, più o meno suoi contemporanei, Einaudi non lo stressa oltre un certo limite. Si sente addirittura uno sforzo nel trovare più ciò che unisce, rispetto a ciò che differisce. Ma su una cosa l'ex governatore della Banca d'Italia e presidente della Repubblica punta la sua analisi: il pendolo che oscilla tra libertà ed uguaglianza: «Liberali e socialisti sono concordi nel sentire vivamente il rispetto della persona umana. La dissomiglianza tra gli uni e gli altri riguarda non già il principio della libertà, ma quello della uguaglianza». Che non è, si capisce bene dalle Prediche inutili , poca cosa. Certo, si può tradurre in una questione di limiti, dell'una e dell'altra. Ma alla fine si tratta anche di sostanza.

Einaudi, tra gli altri casi, si esercita magnificamente nell'analisi dell'imposizione progressiva. Quella per la quale i contribuenti non pagano le tasse in proporzione al proprio reddito, ma in progressione dei propri introiti. Nota il Nostro: «Gli uomini dal temperamento socialistico oltrepassano il punto critico della progressività nelle imposte anche perché, contrariamente ai liberali, si sono ficcati in testa una divulgatissima opinione; che oggi il vero problema sociale sia quello della distribuzione della ricchezza e non più, come in passato, della sua produzione. Opinione, oltreché strana, manifestatamente sbagliata». In queste fantastiche righe Einaudi coglie nel 1956, quando raccolse questi scritti, il punto centrale del dibattito economico che ancora oggi ci affligge. Il pensiero liberale ritiene che la produzione della ricchezza sia la precondizione per una maggiore uguaglianza dei punti di partenza degli individui, e non viceversa. E che le imposte necessarie per tenere in piedi uno «stato sociale» non possono superare il limite che rende disincentivante produrre e intraprendere.

E queste cose Einaudi le scriveva quando lo Stato gestiva una porzione davvero ridotta, rispetto ad oggi, dei nostri redditi.

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