INVARIATE LE ALIQUOTE IVA AL 4% E AL 10%

Era l’extrema ratio evocata dal premier Silvio Berlusconi e quando lunedì sera, al termine di una giornata nera per le Borse e per i titoli di debito pubblico italiano, il presidente della Repubblica ha chiesto una risposta più forte, l’aumento dell’Iva dal 20 al 21% è finito in testa al menù delle misure. Il comunicato di Palazzo Chigi lo mette in testa alle decisioni, specificando che la destinazione dell’aumento è «il maggior gettito a miglioramento dei saldi del bilancio pubblico».
Anche perché l’aumento dà entrate certe. Circa 4 miliardi di euro nella versione «minima» prevista dalla manovra, cioè un aumento dal 20 al 21% dell’aliquota massima, quella applicata alla maggior parte dei beni di consumo e dei servizi. Poi ci sono le due aliquote agevolate al 4% e al 10%. Quest’ultima si applica a beni alimentari come la carne, l’energia elettrica domestica, i servizi di hotel e ristoranti oltre che agli spettacoli. Quella minima si applica agli alimentari di prima necessità e ad altre merci come la carta per gli organi di informazione. L’aliquota che sarà aumentata è quella ordinaria e riguarda tutti i beni e servizi il cui acquisto non sia agevolato: dai giocattoli, ai televisori, auto e moto all’abbigliamento.
Se si fosse deciso un aumento di tutte le aliquote, nelle casse dello stato sarebbero entrati circa 6 miliardi di euro.

I due miliardi di differenza, insieme ad un eventuale ulteriore aumento della aliquota massima, rimangono come «riserva» per la delega fiscale, un alternativa al taglio delle agevolazioni fiscali-assistenziali.
L’aumento dell’Iva è avversato da sindacati e associazioni dei commercianti. Per Confcommercio «ne risentiranno consumi, occupazione e crescita».

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