Invasione cinese, dall’Esquilino al Lazio

Invasione cinese, dall’Esquilino al Lazio

Daniele Petraroli

Le cifre sono impressionanti. Se prima il problema riguardava un solo quartiere, l’Esquilino, adesso è diventato più generale e rischia di travolgere l’intera economia regionale. Stiamo parlando dell’«invasione» cinese. I numeri parlano chiaro, in nove anni il volume d’affari dell’import con gli occhi a mandorla è aumentato del 350 per cento passando dai 129 milioni di euro del ’95 ai 428 del 2004. E la tendenza per il 2005 non promette nulla di buono. Confrontando il primo semestre di quest’anno con quello dell’anno precedente l’aumento è del 25 per cento. «Questo succede per la concorrenza sleale dei prodotti “made in China” - denuncia Roberta Angelilli, capodelegazione di An al Parlamento europeo -. Le loro merci sono a basso costo perché non rispettano né i diritti dei lavoratori né l’ambiente, e perché gli articoli sono spesso contraffazioni. Senza considerare lo sfruttamento del lavoro minorile in barba a qualsiasi convenzione internazionale. Perciò chiediamo alla Commissione europea di imporre con forza regole chiare a chi importa nell’Ue».
Viceversa le nostre imprese che tentano di espandersi in estremo oriente incontrano crescenti difficoltà, tanto che l’export laziale in Cina ha subìto negli ultimi nove anni un decremento del 21 per cento passando dai 92 milioni di euro del ’95 ai 73 del 2004. E, anche in questo caso, non si registra nessun miglioramento nell’anno in corso. Confrontando i primi due semestri del 2004 e del 2005 si registra un 12 per cento in meno. «Se qui i cinesi trovano porte aperte ai loro prodotti - continua Angelilli - le imprese laziali che tentano di espandersi lì trovano impedimenti burocratici e amministrativi d’ogni tipo. Non vogliamo ripristinare il protezionismo, ma è giusto salvaguardare le aziende, i lavoratori e il patrimonio di professionalità italiano. Anche perché i nostri prodotti sono tutti di altissima qualità».
Oltre a chiedere l’intervento europeo, An ha lanciato ieri una campagna d’informazione tra i consumatori. Numerosi stand saranno allestiti davanti a mercati e centri commerciali per spiegare quali sono i pericoli nel comprare merci cinesi contraffatte con un «vademecum all’acquisto consapevole». «Ci sono preoccupazioni sociali - spiega il consigliere comunale Luca Malcotti -. Bisogna acquistare italiano per evitare che le imprese chiudano e i lavoratori siano licenziati. Poi vi sono pericoli di sicurezza e controllo della qualità. Quando si acquista, per esempio, un giocattolo su una bancarella, si espone un bambino a dei rischi perché è probabile che certi standard non siano stati rispettati. Il Comune deve decidersi a combattere in maniera seria il fenomeno dell’abusivismo». I settori più colpiti dall’importazione cinese, e quindi dalla contraffazione, sono quelli dell’abbigliamento e degli strumenti tecnologici, denunciano gli esponenti di An.
«All’amministrazione capitolina - precisa l’assessore ai Lavori pubblici del XIX municipio Federico Guidi - chiediamo anche che tali sportelli siano istituzionalizzati e gestiti direttamente dal Comune. Nel frattempo ci stiamo muovendo affinché i municipi governati dal centrodestra lo facciano immediatamente». Ad appoggiare l’iniziativa anche il senatore di An Giuseppe Consolo. «Qui si tratta di concorrenza sleale - precisa -. Se dovessi fare un paragone direi che è come un combattimento tra due pugili dove uno ha nascosto in un guantone un ferro di cavallo.

Oltre a vincere in maniera irregolare rischia anche di uccidere l’avversario. Quel che fa la Cina è eticamente insopportabile. Deve imparare a rispettare le regole del mercato internazionale se vuole importare in Italia e in Europa».

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