Anche se per lunghi tratti del suo libro Nulla appare invano (Baldini Castoldi Dalai, pagg. 190, euro 12,50) non mi trovo daccordo con lei, sono tuttavia grato a Roberta de Monticelli per averlo scritto, perché lesigenza da cui esso nasce, latteggiamento al quale esso intende esortare i lettori è sacrosanto.
Il libretto - non un trattato di filosofia vero e proprio, ma una sorta di elogio della filosofia - è tutto centrato sullurgenza di recuperare il valore dellunicità dellessere umano nellepoca della sua riproducibilità tecnica. Premessa di questa difesa è l'invito a recuperare il senso «festivo» - come lo chiama la De Monticelli - del pensiero. Per «senso festivo» lautrice intende la capacità dellintelligenza di ritrarsi dal ricatto delle cose, ossia da quel patto (spesso diabolico) che stipuliamo «non con lessere stesso delle cose, ma con il loro potere di sostenere il nostro...». Questo è il punto nodale. Il ricatto insito nel tipo di vita che conduciamo oggi (non è sempre stato così) sta nel fatto che il nostro rapporto con esse è sempre più un rapporto di sudditanza: non ci rapportiamo con la loro realtà, ma con la loro capacità di darci lessere (che dunque coinciderà sempre di più con il potere, la ricchezza, il successo). Così il pensiero soffoca, si atrofizza.
Non crediamo che questa necessità di strappare il tempo alle cose - la filosofia è festiva perché si fa nellozio, nel riposo - abbia nulla di astratto. La questione è concretissima. Mio figlio, che è stato un vero appassionato della Playstation, ha fatto proprio ieri questa osservazione: Che cosè il computer quando si gioca alla Playstation? Il computer è Dio. Se stabilisce che tu devi perdere, per quanto abile tu sia perderai. La domanda che gli rivolgo è carica di tutto lilluminismo che ho dovuto mangiare negli anni. «Se è così, che gusto cè a giocare?». La sua risposta è pronta: proprio questo è il fascino del gioco: credi di fare quello che vuoi, invece fai quello che vuole la macchina.
Esiste infatti un fascino, perverso finché si vuole, ma reale, nella perdita dellindividualità, nella perdita di sé. La perdita di noi stessi è accompagnata da un senso di sicurezza che, di fronte ai pericoli del mondo, si trasforma in orrore misto a odio. Quello che ci chiede Roberta De Monticelli è uno sforzo.
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