Io che lo conosco vi spiego chi è Dario

Il richiamo è troppo forte. La città gli sarà grata. Dario Franceschini nel discorso d’insediamento ha ricordato, con orgoglio municipale, e anche con affetto, la sua, la nostra città: Ferrara. Non era necessario, se non forse per richiamare un luogo dove il Partito democratico e il centrosinistra governano da anni e, probabilmente, governeranno per molti anni ancora. Non una città di sinistra. Una città che, dopo la gloria inarrivabile degli Estensi che l’hanno resa bella e grande, è stata in un lungo sonno, che perdura, dominio dello Stato Pontificio. Città addormentata. Città del silenzio. Città moderata. Città governata da una sinistra tranquilla e conservatrice.
Dario Franceschini non ha ricordato soltanto le sue origini, ma anche suo padre Giorgio, partigiano cattolico e deputato dc negli anni Cinquanta, mentre un altro Franceschini, lo zio Adriano, illustre studioso, archivista, storico, ha molto contribuito a mandar luce sulle carte della storia, nei tempi luminosi e nei tempi bui. Ma questo doppio richiamo, alla città e al padre, non è soltanto un desiderio di trasferire la dimensione locale alla sfera nazionale, come se l’Italia potesse essere una grande Ferrara; il buon governo della città riflettersi su quello di tutto il Paese, nella utopistica e romantica visione dell’eterno giovane Franceschini. Esso invece è stato più sottile, in fondo retorico per ribaltare di fronte al nemico giurato Silvio Berlusconi (in continuità con il segretario uscente Veltroni, che demonizza il presidente del Consiglio e intrattiene rapporti urbani e convenienti con il sottosegretario della presidenza del Consiglio Letta, zio di Enrico Letta, dello stesso partito di Franceschini, la componente moderata e democristiana del Pd e, a sua volta, moderato, equilibrato, democristiano, alla fine omogeneo alla visione del mondo espressa da Franceschini, pur essendo affascinato dall’energia e dal decisionismo di Berlusconi) la fedeltà alla Costituzione e al presidente della Repubblica. Ferrara e il padre sono stati evocati perché Franceschini ieri è tornato nella sua città e ha chiesto al padre di portargli la Costituzione, «carta» della generazione dei padri, per giurare fedeltà, come su una Bibbia laica.
In questo gesto spropositato, sia in sé, sia rispetto all’entità della minaccia del nuovo padrone d’Italia, c’è tutto Franceschini. Un uomo gentile, misurato, elegante, con la visione di un eterno ragazzo che non ha mai avuto troppe illusioni, ma fiducia nei valori certi nell’ordine del mondo definito dal suo partito perduto, in una visione pacifica e consolatoria. Ferrara ha avuto negli anni recenti personalità di statura nazionale. Prima di Franceschini l’andreottiano Nino Cristofori e, in dimensioni anche più consistenti, il celebre ministro delle Finanze, Luigi Preti, socialdemocratico. E prima di questi, durante il fascismo, non allineato con il Duce, Italo Balbo. La città, prima dell’attuale sindaco, Gaetano Sateriale, ha avuto anche un sindaco di forte consistenza e molto considerato, anticipatore, nel suo modo di amministrare, del Partito democratico, Roberto Soffritti. E, da anni, assiste alla non rampante ascesa di Dario Franceschini. I ferraresi avranno sicuramente accolto con soddisfazione questa imprevedibile affermazione del loro concittadino come leader del primo partito di opposizione italiano. Compiaciuti, al solito, senza euforia. E, tornando a casa, Franceschini asseconda il loro amor proprio.
Uomo sensibile, più sensibile che sottile, più disponibile ad ascoltare che deciso a combattere, Franceschini ha rivelato negli ultimi anni una vocazione di scrittore, testimonianza della sua componente riflessiva rispetto ai tumulti della politica cui pure non si è sottratto nelle sue dichiarazioni e presenze televisive. Non è stato il numero due di Veltroni; è stato a lui complementare e affine nel tentativo di fusione di ex comunisti e di ex democristiani. Manifestando le sue inclinazioni letterarie, egli ha rivelato una costante dei politici ferraresi. Fu buono scrittore infatti anche il sopraricordato Luigi Preti, autore fortunato di saggi e romanzi, in particolare il noto «Giovinezza, giovinezza». Franceschini per l’editore Bompiani ha pubblicato «Nelle vene quell’acqua d’argento», nel 2005, e «La follia improvvisa di Ignazio Rando» nel 2007. Libri belli, intelligenti, con il richiamo alla follia padana e alla, per noi ineludibile, forza del fiume. Senza malignità, opere più intense e colte dei libri di Veltroni.
La sensibilità di Franceschini è infatti più misteriosa, sotterranea, complessa. Non so come si rifletterà nella leadership politica. Posso ricordare che dopo anni di frequentazioni civili, nel 2001, arrivato io al governo, pensai a un mausoleo o museo della Shoah a Ferrara. Elaborammo la proposta con l’architetto Fuksas e Alain Elkann, disorientando chi, nel governo, vedeva sopravvivenze fasciste e poca attenzione per la questione ebraica. Sconcertammo, con successo. E, non potendo dal governo presentare un disegno di legge, Franceschini volle assumersene la paternità con una proposta, a sua prima firma, che riprendeva le linee generali del mio progetto. In piena bagarre antiberlusconiana andammo così a Ferrara e, davanti al consiglio comunale, presentammo la nostra comune proposta. Da allora i nostri rapporti, se possibile, sono anche migliorati, e transitati in famiglia per il ruolo di direttore editoriale di mia sorella alla Bompiani.
Ancora una volta, nonostante il mio agitarmi, vedo che è un altro ferrarese a fare carriera.

Ma non lo invidio, e temo che mentre io continuerò a fare Sgarbi fra non troppo tempo Dario si ritroverà nelle condizioni di Veltroni (se non, e non glielo auguro, più debole dopo molte notti di lunghi coltelli) e da segretario del Partito democratico, nella composta festa di queste ore, tornerà a essere Franceschini scrittore.

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