Politica

"Io, l’infame che suggerì di sparare a Ezio Mauro"

Le confessioni di Peci: "Quel giovane cronista scriveva contro di noi. Ma mi dissero: è un pesce troppo piccolo"

Quando nel 1983, fu pubblicato per la prima volta «Io, l’infame», curato da Giordano Bruno Guerri, fu un vero e proprio caso editoriale. Patrizio Peci era il primo super-pentito delle Br, colui che, collaborando con il generale Dalla Chiesa, aveva dato uno scossone profondo alla struttura del partito armato. Il libro mise in luce il volto reale delle Br, demistificandone il presunto eroismo, ridimensionandone il peso politico e ideologico. Oggi «Io, l’infame» ritorna in libreria in una versione aggiornata e ampliata, con otto capitoli totalmente nuovi in cui l’autore spiega come fu smantellata la rete torinese, la sua collaborazione col generale Dalla Chiesa, la tesi smentita che lo vedeva comeinfiltrato. Ma Peci racconta soprattutto il suo stato d’animo, cosa significhi essere il primo terrorista pentito, cosa voglia dire imparare a convivere con il terrore della vendetta, cambiare nome e identità, avere rapporti con i suoi cari. Patrizio Peci non parla in pubblico da anni. E il nuovo libro è, per certi versi, oltre che un’occasione per riflettere sulle Brigate rosse, un grande racconto sulla sua «seconda vita». Ne pubblichiamo alcuni stralci.

«Patrizio Peci è morto il 18 maggio del 1983. Patrizio Peci ero io. Il 18 maggio del 1983, a Torino, l'uomo conosciuto con quel nome entrava in un tribunale di Torino per testimoniare contro i suoi ex compagni, principale teste d'accusa nel processo contro le Br. Fino a quel giorno ero stato un brigatista, dopo di allora divenni il più feroce nemico delle Br» (...). Dopo quel 1983, un nuovo Patrizio, senza più nessuna immagine pubblica, senza volto, senza legami con il suo mondo di prima - insomma io - avrebbe dovuto compiere un nuovo rito battesimale, e ricominciare la propria vita da zero».
GAMBIZZARE EZIO MAURO
«Un giorno mi presentai alla riunione di colonna con un promemoria su un giovane cronista piemontese, Ezio Mauro, proprio lui. Illustrai il suo caso, lessi alcune delle cose per nulla tenere che aveva scritto su La Gazzetta del Popolo su di noi. Arrivò a scrivere un libro con il sindaco Diego Novelli, Vivere a Torino, in cui si faceva una mappatura abbastanza esatta delle Br, molto ostile nei nostri riguardi, scritto con l'ambizione di diventare una manifesto antiterrorismo. Conclusi: “Secondo me, abbiamo pronto un nuovo obiettivo. Anche relativamente facile, perché non protetto. Che vogliamo fare?”». (...). «Però i compagni mi risposero: “Adesso ci mettiamo a perdere tempo con i pesci piccoli?”. Obiettai: “Piccolo mica tanto: questo gioca a fare il duro con noi, si sente un opinion leader, influenza gli altri giornali”. Discutemmo per qualche minuto su Mauro, sul tipo di azione possibile. Ovvero se gambizzarlo. Poi un compagno che aveva più voce in capitolo di me, e che mi piacerebbe incontrare di nuovo oggi troncò la discussione: “Per me esageri: Mauro è un pesce troppo piccolo”. So bene che Mauro potrebbe non considerarlo un complimento, ma a quanto pare, invece, sulle sue qualità ci avevo azzeccato io, e in pieno».
UN SEGRETO PER MIO FIGLIO
«Oggi mio figlio ha 24 anni, e un segreto. Non è stato sempre così. Non gli avevamo detto tutto, e quindi per molti anni anche lui ha coltivato il dubbio. Quando era piccolo non si faceva troppe domande. Non ci chiedeva chi fossero gli “amici” con la pistola che ci venivano a fare visita così spesso, non mi faceva domande sullo “Zio Creso”, il carabiniere che dopo avermi dato la caccia era diventato il mio migliore amico. Quello era il suo mondo, la sua famiglia, la normalità, i volti delle persone che conosceva da sempre». (...) «Un giorno, improvvisamente, ogni filtro cadde. Mio figlio mi venne incontro con una copia di La Stampa in mano. Non ebbi bisogno di leggere, per sapere di cosa si trattasse. C'era una articolo su Peci. C'era una foto dei tempi del processo. Era una vecchia immagine in bianco e nero, per giunta un po' sgranata, dove apparivo molto diverso da come ero in quei giorni. Ma se la regola dello sguardo ha un senso per chi ti ha conosciuto bene, figuratevi se uno sguardo può mantenere un segreto di fronte ad un figlio. Disse semplicemente: “Papà, questo sei tu!”. Io provai a scherzarci su, e risposi ridendo: “Sì, figurati, sono il terrorista Peci...”. Lui continuò senza farsi scoraggiare: “Sei tu, io lo so”».
VITTIMA E CARNEFICE
«Si sono presi mio fratello Roberto con l'inganno, una mattina. Lo hanno preso e sequestrato, per disperata e insensata logica di vendetta. Lo hanno rapito con un miserabile trucco, con l'obiettivo di allestire un processo farsa contro di lui e di ucciderlo. Ma in realtà lo hanno fatto solo per una feroce rappresaglia contro di me» (...). «Ogni volta che una scheggia di quella storia mi raggiunge, una ferita si riapre. Mi sono accorto solo per caso che io sono l'unico.

L'unico che negli anni di piombo abbia abitato entrambi i gironi dei dannati: sia fra le vittime che fra i carnefici, sia fra chi ha amministrato la morte, sia fra chi ha conosciuto la morte, quella di una delle persone più care, quella che ti fa conoscere il senso della perdita irrevocabile».

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