«Io, ospite mancato così avrei smontato le bugie di Annozero»

Il nostro giornalista escluso dalla trasmissione di Santoro: la Rai si è piegata a un diktat di 21 senatori dell’Unione

Non si tratta solo dell’odioso uso della querela per escludere chicchessia dalla tv, non è solo un pasticcio da ufficio legale: è lo stivale dell’Unione appoggiato sull’inesistente autonomia dei vertici Rai, è la querela che si fa braccio armato di una mente partitica: parliamo dei 21 senatori che hanno scritto una pubblica lettera, mercoledì sera, proprio per suggerire alla Rai di querelare un singolo giornalista. E il cda Rai, come un sol uomo, ha obbedito immediatamente. È stata l’Unità ad aver raccontato che la lettera dei 21 senatori, mercoledì pomeriggio, è giunta al consiglio di amministrazione Rai appena riunito: dopodiché i consiglieri si sono adeguati.
È stata l’Unione, e non la Rai, a impedire la presenza di un giornalista che Michele Santoro aveva invece reputato utile alla sua trasmissione: presenza che non sarebbe comunque bastata, perché la trasmissione forse l’avrete vista, avrete ascoltato il coro gregoriano e monofonico, avrete assistito a quella chiacchierata tra amici in quel un clima surreale che ha stordito persino l’annichilito Enrico Mentana.
Dal primo all’ultimo fotogramma il sottinteso era uno solo: ed è corrisposto a un uso criminoso della televisione pubblica, sissignori, uno strumento per dire che è stato Silvio Berlusconi ad aver fatto morire Biagi, che è stato il famoso editto a uccidere Biagi dentro, lui che non chiedeva modestamente che di lavorare. L’editto ha colpito Biagi mentre peraltro gli morivano la moglie e la figlia, non si uccidono così anche i decani?
Questo l’assunto, neanche troppo dissimulato: ma non un cane, giovedì sera, si è ribellato a quell’infamia, nessuno ha voluto semplicemente ricordare le tappe autentiche della dipartita di Biagi dalla Rai: 1) sin dal 2001 i vertici Rai gli chiedevano legittimamente di cambiare orario al suo Fatto, che non reggeva la concorrenza; 2) ci fu l’editto, nell’aprile 2002, ma Biagi continuò Il Fatto sino a normale scadenza; 3) in luglio proposero a Biagi di non fare più Il Fatto e di sostituirlo con alcune prime serate più una ventina di seconde serate, e questo retribuendolo con un miliardo in più rispetto ai precedenti due: e Biagi accettò, lo disse anche in una conferenza stampa, la faccenda pareva chiusa; 4) Biagi ricevette il contratto nel settembre successivo, ma non lo controfirmò perché frattanto aveva cambiato idea: d’un tratto ridecise che voleva ancora e solo rifare Il fatto. Loris Mazzetti, il dirigente ad personam di Biagi, durante Annozero l’ha messa così: «Lo costrinsero a ridecidere di rifare Il fatto». Chi lo costrinse? E come, soprattutto? Il contratto era lì, bastava controfirmarlo: ma Biagi lo rispedì al mittente due mesi dopo averlo ricevuto, e nonostante gli inviti dei vertici Rai affinché lo firmasse; 5) Biagi pretendeva l’orario e la rete di prima, respinse ogni alternativa: la proposta di fare il Fatto alle 18.50 su Raitre, in particolare, lo mandò su tutte le furie tanto da fargli dare del cretino al direttore generale; 6) il vecchio contratto per Il fatto, rifiutato il contratto nuovo, andava intanto in scadenza, sicché la Rai gli mandò la disdetta con ricevuta di ritorno: altrimenti poteva intendersi tacitamente rinnovato; 7) deluso ma non troppo, Biagi accettò una buonuscita di 1,5 milioni di euro «effettuata con il pieno consenso dell’interessato e con di lui piena soddisfazione». Biagi disse testualmente che «Non sono stato buttato fuori, al contrario ho raggiunto di mia iniziativa un accordo pienamente soddisfacente che gratifica sotto tutti i profili, morali e materiali, i miei 41 anni dedicati alla Rai»; 8) Biagi accettò il ruolo di martire dell’editto berlusconiano, ma la Rai dell’Unione, ciononostante, non gli fece rifare Il fatto: lo tenne a bagnomaria per un anno e poi lo relegò alle 23 e 30 in un programma settimanale sui Raitre, Rotocalco televisivo.
Per desumerne lo scorno di Biagi, ossia la sua chiara sensazione d’esser stato usato e strumentalizzato come zimbello elettorale, si leggano le testuali parole del giornalista nel suo libro Quello che non si doveva dire (Rizzoli) peraltro riportate nell’articolo del vicedirettore Michele Brambilla.


Ma giovedì sera, ad Annozero, non abbiamo ascoltato queste obiezioni, questi dati: non abbiamo neppure ascoltato delle critiche legittime e magari sacrosante circa la stagione certo non brillante della Rai di centrodestra: confusa nel dolore vero e inconsolabile per la morte di Enzo Biagi, abbiamo assistito all’istruttoria del suo assassinio.
«Criminoso»: su questo stesso giornale, qualche volta, il famoso editto bulgaro è stato dipinto come un’uscita che Berlusconi poteva evitarsi. Non ne siamo più tanto sicuri.

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