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«Io, papaboy di Wojtyla ho imparato ad amare il professor Ratzinger»

Matteo racconta la sua terza volta al raduno dei giovani : «Giovanni Paolo II era più spontaneo, Benedetto XVI più formale, ma lo abbiamo accolto con molto calore»

«Io, papaboy di Wojtyla ho imparato ad amare il professor Ratzinger»

Elena Jemmallo

I problemi organizzativi? Superabili. Il freddo? I ragazzi sono stati solidali tra loro nello scambiarsi indumenti. I sovraffollamento? Segno di una grande partecipazione. Non sembra esserci nulla in grado di smorzare l’entusiasmo di Matteo Spicuglia, 26 anni, tre Gmg al suo attivo e un ruolo non solo di Papaboy, ma anche di giornalista per il sito www.korazym.org. Una settimana, la sua, trascorsa a documentare l’evento, ma allo stesso tempo a partecipare ai momenti di preghiera proposti durante la XX Giornata Mondiale della Gioventù, la prima senza Papa Wojtyla.
Com’è stata la prima Gmg di Papa Ratzinger?
«L’accoglienza dei ragazzi è stata enorme, calorosa e pittoresca. Mi ha molto colpito l’affetto che i giovani hanno dimostrato verso il nuovo Pontefice. Già alla cerimonia di apertura, mentre Benedetto XVI risaliva il Reno sopra un battello, alcuni ragazzi non si sono accontentati di salutarlo dalla riva, ma si sono gettati in acqua, entrando fino alle ginocchia, per vederlo più da vicino»
Eppure lo stile di Benedetto XVI è molto diverso da quello di Giovanni Paolo II...
«Sì, è vero, hanno un modo diverso di comunicare. Ma non voglio dire chi sia meglio o peggio. Piuttosto, direi che è uno stile diverso ma ugualmente efficace. Mi ricordo ad esempio che durante la veglia della Gmg di Toronto, in Canada, Giovanni Paolo II era continuamente interrotto da applausi scroscianti. E lui, Wojtyla, sembrava divertito, e stava al gioco. Tant’è che mi ricordo, a un certo punto disse qualcosa del tipo: “Allora che facciamo? Sono quasi le undici, dobbiamo andare avanti”. Era un approccio molto informale il suo, molto impostato sulla gestualità. Aveva un’abilità straordinaria nell’instaurare un rapporto con i giovani. La veglia di Benedetto XVI, invece, ha avuto uno stile molto diverso. La sua forza comunicativa stava tutta nei contenuti. È stato molto formale. Anche nel volere una liturgia con meno musica e meno spettacolo, dove tutta l’attenzione era per le sue parole. E il riscontro dei giovani è stato comunque ottimo. C’era una concentrazione impressionante. In silenzio, ascoltavano le parole di Ratzinger. E se si pensa che il tutto non avveniva in una chiesa, ma in una spianata occupata da un milione di ragazzi... Be’, a me solo l’idea fa una certa impressione»
È stata mossa anche qualche polemica sui problemi organizzativi che hanno impedito la piena riuscita dell’evento...
«È vero, la macchina organizzativa non ha funzionato come avrebbe dovuto, ma non è assolutamente vero che per questo l’evento non è riuscito nel suo intento, che era quello di far vivere un’esperienza di fede ai ragazzi. Certo, tre ore di fila per mangiare, un sistema dei trasporti collassato non hanno aiutato. In molti rinunciavano a partecipare alle catechesi dei vescovi perché i mezzi pubblici erano letteralmente presi d’assalto. Per non parlare dei maxischermi andati in tilt, che hanno praticamente isolato moltissimi pellegrini che non hanno né visto né sentito la celebrazione. Ma se devo dare un giudizio complessivo, vi assicuro che la partecipazione è stata comunque fortissima e i problemi sono stati superati con lo spirito d’adattamento tipico dei giovani. Ad esempio, per ripararsi dal freddo, i ragazzi si prestavano i calzini...»
L’immagine che ti è rimasta più impressa?
«Sicuramente vedere centinaia di ragazzi che si confessavano negli stessi locali che durante la seconda guerra mondiale furono utilizzati per lo smistamento dei prigionieri di guerra in partenza per il campo di concentramento di Buchenwald.

A mio avviso, c’è una forte valenza simbolica»
Apputamento a Sidney nel 2008, quindi?
«Mi auguro proprio di sì».

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