Politica

Irak, l’Unione dà ai soldati solo i soldi per tornare

Il ds Minniti: «Gli iracheni riusciranno a formare un governo prima di noi»

Laura Cesaretti

da Roma

Certo Prodi ha tutt’altri problemi per la testa in questi giorni che l’Irak. Ma, sarà per la telefonata di congratulazioni che gli ha fatto ieri il premier spagnolo, il ricordo del gesto con cui Zapatero ha inaugurato il suo governo, il ritiro delle truppe dall’Irak promesso in campagna elettorale e mantenuto all’indomani dell’insediamento alla Moncloa, deve essere echeggiato nella mente assai occupata del Professore. Che ieri sera, dal palco di piazza Maggiore nella sua Bologna, dove è andato a festeggiare in casa il (traballante) risultato elettorale, ha lanciato tra gli applausi la sua promessa: «Appena il Consiglio dei ministri si riunirà deciderà il ritiro delle truppe italiane dall’Irak. Il nostro impegno è portare l’Italia fuori dalla guerra, perché non abbiamo voluto questa guerra». Già, perché il rinnovo del decreto che rifinanzia la missione italiana a Bagdad dovrà essere uno dei primi atti del nuovo governo, visto che il Parlamento dovrebbe votarlo entro la fine di giugno.
Anche se, fa notare ironico il ds Marco Minniti freddando gli entusiasmi, «è ragionevole ritenere che gli iracheni riusciranno a varare il nuovo governo prima di noi». Ma per l’ala sinistra dell’Unione il ritiro dall’Irak resta una bandiera, un indispensabile gesto qualificante per la nuova maggioranza. E dunque Marco Rizzo, numero due dei Comunisti italiani, annuncia con il consueto piglio truculento: «Di quella missione da finanziare c'è solo la benzina per consentire alle truppe italiane di rientrare dalla guerra». Dunque, tuona, «bisogna predisporre il ritiro immediato delle truppe dall'Irak», perché quella guerra «è stata una vera e propria aggressione voluta da Bush, cui per colpa di Berlusconi si è unita l’Italia».
A rassicurarlo ha provveduto Arturo Parisi: «Su questo punto il programma dell'Ulivo è chiaro: il governo voterà sì al finanziamento della missione in Irak, ma per il rientro del contingente italiano».
In verità, parlando della questione ai media internazionali, Prodi usa toni assai meno drastici di quelli che impiega sulle piazze italiane: certo «ritireremo le truppe dall’Irak», perché per il centrosinistra quella guerra rimane «ingiusta e ingiustificata». Ma lo si farà «in accordo innanzitutto con il governo legittimo di Bagdad», e sostituendo i soldati con «un contingente civile per aiutare la ricostruzione delle infrastrutture e delle istituzioni irachene». Dalla Cdl, Sandro Bondi coglie la palla al balzo per offrire collaborazione bipartisan sul terreno della politica estera, notoriamente accidentato per l’Unione: la proposta di inviare un contingente civile in Irak «potrebbe costituire un utile elemento di confronto», ma solo a patto che «il leader dell'Unione ammetta onestamente che i nostri militari hanno svolto finora compiti civili legati alla ricostruzione dell'Irak», e soprattutto se «fosse in grado di spiegare come intenderebbe garantire la sicurezza di detto contingente civile in Irak».
Avance a doppio taglio prontamente respinta dal prodiano Franco Monaco: «Convergere sarebbe bello, ma è proprio sulla politica estera che si misurano le distanze tra Prodi e Berlusconi». Niente da fare, l’Unione sarà autosufficiente, a cominciare dal decreto sull’Irak. E gli alleati sono d’accordo: «Credo che almeno su questo non ci saranno autogol del centrosinistra», prevede il radicale Daniele Capezzone, assai lontano dagli estremismi pacifisti, «perché mentre sul complesso della politica estera il programma è poco ambizioso, la formula trovata sull’Irak è tra le più difendibili: nessun ritiro “un minuto dopo”, come ebbe a dire Rutelli cinque mesi fa, ma una calendarizzazione del rientro in accordo con le autorità di Bagdad».
E il Verde Paolo Cento è d’accordo sul fatto che non ci saranno fibrillazioni sul tema: «Basta che nel decreto sia inserito in qualche modo il concetto del “ritiro”, e non si porrà alcun problema».

D’altronde, ricorda Minniti, «è stato il governo Berlusconi ad annunciare il dimezzamento delle truppe entro giugno e il rientro completo entro il 2006».

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