Lui ripete di non voler mollare. Incurante di manifestazioni, critiche e impietosi sondaggi che lo danno inviso a due terzi e passa dei concittadini, il primo ministro Ehud Olmert resiste. Come un monarca assediato, sfoggia una cocciuta indifferenza, difende la bontà delle proprie scelte presenti e future, rivendica capacità e diritto di porre rimedio a quelle passate. Ciò nonostante le notizie su di lui sembrano i bollettini medici di un malato terminale. Non raccontano cosa fa, ma sinterrogano su quanti giorni ancora sopravviverà. E neppure i più ottimisti gliene regalano tanti. Il travagliato decorso dellagonizzante Ehud Olmert è inficiato da innumerevoli incombenti complicazioni. La più grave e vicina si chiama Amir Peretz.
Non appena il ministro della difesa laburista toglierà il disturbo Olmert si ritroverà con un piede nella fossa. Le testarde certezze del premier devono, in questo caso, fare i conti con le eterne indecisioni del ministro della Difesa. Alcuni suoi consiglieri lo esortano ad abbandonare quanto prima per evitare danni irrimediabili capaci di stroncare definitivamente la sua già incerta carriera politica. Altri gli suggeriscono di restare per affrontare da ministro lassalto di quanti, a fine mese, tenteranno di strappargli la guida del partito laburista. Così leterno indeciso sopravvive rinviando.
Ieri tutti si aspettavano lannuncio delladdio prima di sera, ma alla fine Peretz ha fatto capire di non aver nulla da dire e Olmert e i suoi consiglieri hanno tirato un sospiro di sollievo. Ma prima o dopo quelle dimissioni arriveranno e renderanno assai probabile una fuga dei laburisti dal governo. La mossa lascerebbe Olmert alla testa di un esecutivo sostenuto dai voti di appena 59 dei 120 deputati della Knesset. A quel punto il premier dovrebbe scegliere tra un quasi impossibile rimpasto e le elezioni anticipate. Il rischio maggiore in questo scenario già apocalittico è la disintegrazione di Kadima. Il leader dellopposizione Benyamin Netanyahu potrebbe approfittare della crisi per riaprire le porte del Likud a molti ex deputati eletti nelle liste avversarie e tentare di formare un nuovo governo con lappoggio delle formazioni religiose e di estrema destra. Lennesima complicazione potrebbe materializzarsi già il 13 maggio quando la Knesset si riunirà in sessione straordinaria per esaminare il rapporto preliminare della commissione dinchiesta sul comportamento del governo nella seconda guerra del Libano.
Se sopravviverà alle forche caudine di quel dibattito, il primo ministro dovrà fronteggiare la pubblicazione, attesa entro due settimane, delle testimonianze rese alla commissione dinchiesta. A quella scadenza seguirà il giro di boa di fine mese, quando i laburisti si ritireranno in conclave per eleggere il nuovo leader e torneranno a metter in discussione la permanenza al governo. E prima di arrivare alla pubblicazione del rapporto finale della commissione dinchiesta, considerato da tutti linevitabile colpo di grazia, Olmert dovrà rintuzzare gli attacchi della magistratura, pronta a formalizzare le inchieste per corruzione aperte negli scorsi mesi. Durante questa travagliata via crucis Olmert non potrà permettersi il lusso di sbagliare neppure mezzo passo. Una possibilità definita da molti commentatori «prossima a zero». I collaboratori del premier si sforzano però di crederci e di farlo credere. «Il primo ministro non ha alcuna intenzione di dimettersi, assiste con attenzione a quanto accade e reagisce anteponendo a tutto gli interessi dello Stato dIsraele», ripete la portavoce Miri Eisin replicando a quanti ricordando i centomila e passa dimostranti di tutte le parti politiche ritrovatisi in piazza giovedì sera a Tel Aviv per chiedere le dimissioni di Olmert.
Altri collaboratori del premier ricordano che i destini politici del Paese non si decidono in piazza.
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