ISRAELE Quando l’arte nasce prima dello Stato

A Palazzo Reale la più grande rassegna di opere di artisti ebrei realizzate in questo secolo

Marina Gersony

Grande affluenza ieri mattina a Palazzo Reale per la presentazione della mostra «Israele. Arte e vita 1906–2006». Si tratta di un avvenimento di prestigio per la città e unico nel suo genere perché mai si era vista una collezione così ampia che radunasse le opere più rappresentative di un secolo di arte israeliana. La mostra raccoglie oltre 150 opere provenienti dai principali musei e collezioni private in Israele. La storia dell’arte israeliana si può far risalire al 1906, quando il sionista Boris Schatz fondò a Gerusalemme l’Accademia di Arti e Mestieri Bezalel con l’obbiettivo di fornire un’educazione laica in una città sprofondata in una remota provincia dell’Impero Ottomano. Da qui sono passati i più grandi artisti le cui opere si sono intrecciate con la storia del Paese: dalla generazione dei padri fondatori, al periodo «idealista» negli anni Venti, all’espressionismo fino agli anni Quaranta per poi lasciare spazio all’astrattismo, all’«arte politica» e via di seguito. «Finalmente vedo realizzato il mio sogno», ha spiegato raggiante Nelly Weissy, esperta d’arte israeliana che con pazienza e forza di persuasione è riuscita a convincere istituzioni e sponsor a investire in questo progetto. La presentazione si è svolta in un clima di partecipazione alla presenza di alcuni tra gli artisti più importanti e un assessore alla Cultura più che mai soddisfatto e pacato. «L’arte israeliana che abbiamo raccolto lancia un messaggio per uno Stato di Israele possibile», ha dichiarato il curatore della mostra Amnon Barzel, storico d’arte israeliana, già curatore e direttore del Jewish Museum di Berlino e direttore-fondatore del Museo Pecci di Prato. E ha aggiunto: «Anche perché si fermi questo tiro-mito di Isacco, perché si fermino i sacrifici. Non c’è un artista che non dica pace, perché solo la pace può essere il futuro per israeliani, palestinesi e per tutto il mondo». «L’Italia è nata con la sua lingua e la sua cultura molto prima della creazione dello Stato unitario - ha commentato Sgarbi - e lo stesso fu per Israele. Arte è libertà. Questa è un’iniziativa formidabile, in continuità con il lavoro svolto dal mio predecessore Stefano Zecchi, a cui va il merito di aver messo in cantiere questo e altri progetti di rilievo», ha dichiarato Vittorio Sgarbi. L’ex assessore ha ricambiato a sua volta: «Ringrazio Sgarbi, ho creduto in questa mostra fin dall’inizio, come del resto in quelle di Boccioni e Tamara de Lempicka. Riguardo a questa mostra, hanno finanziato tutto gli israeliani. Noi abbiamo messo a disposizione lo spazio e tutta la collaborazione possibile». E sono suggestive le opere in mostra di artisti come Marcel Janco, Michal Rovner, Gal Weinstein, Sigalit Landau, Adi Nes, Mordechai Ardon, Miri Segal e non solo. Di Menashé Kadishman, l’«artista delle pecore», colui che nel 1978 si è presentato alla Biennale di Venezia con un gregge vivente, si può ammirare il progetto Shalechet ispirato al tema del sacrificio, un «tappeto» di 2.500 teste in metallo che giacciono in terra con la bocca spalancata, mentre il visitatore è invitato a partecipare camminando sulla drammatica scultura. Del maestro Dani Karavan, noto per le scenografie con Marta Graham, le collaborazioni con Giancarlo Menotti per il Festival di Spoleto e la Biennale di Venezia, colpisce «Man on Rail», delle rotaie in ferro con tanto di pietre e traversine che ricordano l’ultimo viaggio di drammatici convogli destinati a finire in un terribile nulla.

Bellissimo infine il catalogo a cura di Amnon Barzel, editore Andrea Jarach, con la direzione di Patrizia Mastini: un libro prezioso per conoscere l’arte di un Paese che sta vivendo un momento di grande fermento creativo tra passato e presente.

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