Il j’accuse di Capello: «Gli hooligans siete voi»

Sostiene Fabio Capello che la civiltà sportiva, quella calcistica in particolare, penalizzi l’Italia e trovi invece la propria credibilità e conferma in Inghilterra e Spagna. Porta a conforto di questa che non è un’opinione ma è realtà accertata quotidianamente, la sua esperienza nella Liga con il Real Madrid e, attualmente, alla guida della nazionale inglese. «In Italia comandano gli ultrà, fanno ciò che vogliono. Diciamo basta striscioni e gli striscioni ci sono sempre. Diciamo basta con gli oggetti in campo e tirano di tutto - osserva il ct inglese -. In Spagna si vive il fenomeno calcio con grande rispetto, le famiglie possono andare allo stadio portando i bambini. È un altro mondo. Quando allenavo il Real Madrid uno spettatore mi tirò una palla di carta. Ma fu subito individuato ed allontanato. In Spagna c’è grande disciplina: i pullman delle squadre si fermano tra la gente e non succede assolutamente nulla. In Inghilterra la gente ha voglia di andare allo stadio perché va a vedere le partite in tranquillità. E gli stadi sono pieni, come in Spagna e in Germania, mentre in Italia il declino di pubblico è evidente. Ma per raddrizzare le cose basterebbe avere il coraggio di applicare le leggi. All’estero ammirano l’Italia per i risultati, non per l’organizzazione».
Non è il caso di essere patriottici. Semmai è il caso di prendere atto, di sottoscrivere e di provare imbarazzo, se non vergogna. Il calcio italiano è davvero ricattato dagli ultrà, il calcio campione del mondo sul campo, quattro volte, attraverso due secoli, meritatamente e trionfalmente, è un calcio ai confini dell’Europa e terzomondista per educazione, abitudini, privilegi e protezioni. È il calcio del meraviglioso pubblico, è il calcio dei feddayn, dei drughi, degli alcolici, delle brigate, degli ultras, tutti bastardi senza gloria che circuiscono i calciatori, ricattano i dirigenti dei club, spaventano il tifoso cosiddetto normale, spacciano droga e impongono la loro legge che è violenza pura, sfruttando anche il mercato dei gadget, delle magliette, dei biglietti che porta loro migliaia di euro.
Ci sono le leggi, ma la loro applicazione, come in altre vicende altrettanto gravi, è episodica, a volte plateale e demagogica. Tornelli, tessera magnetica, videocamere, stewards, sarebbero soluzioni importanti e decisive se il cittadino ne avesse rispetto e così i politici chiamati a legiferare e a votare. In Inghilterra il governo Thatcher scelse di svoltare sul problema degli hooligans con la ricostruzione degli impianti fatiscenti e leggi ad hoc per il football come il processo per direttissima e il carcere addirittura all’interno degli stadi. In Spagna non è stata necessaria una normativa specifica ma in questi due Paesi l’osservanza della legge fa parte dell’educazione civica (materia abolita a scuola senza provocare cortei e okkupazioni), delle abitudini sociali e civili dei cittadini: basta osservare un qualunque stadio da Madrid a Siviglia, da Londra a Liverpool, per rendersi conto di quanta e quale differenza ci sia con i nostri impianti decorosi nelle sedicenti tribune autorità, vere latrine aperte all’anarchia in tutti gli altri settori.
Lo stadio è di tutti e di nessuno, il linguaggio e il comportamento sono la conseguenza di una indisciplina generale, collettiva che si manifesta in politica, nelle dispute religiose, nei dibattiti televisivi, nelle riunioni condominiali. Chi contesta le parole di Capello lo fa per puro spirito chauvinista, per una sorta di protezione dei privilegi ma dimentica che i dirigenti dei grandi club sono costretti a girare e a frequentare gli stadi, seguiti dalla scorta, contestati, insultati, minacciati, proprio perché gli ultras sono più forti, vincono la loro partita, perché bruciano cassonetti, bloccano le squadre negli spogliatoi, addirittura impongono la sospensione di una partita (il derby tra Roma e Lazio), mettono a fuoco una città, dopo la morte di Sandri, hanno un tam tam tecnologico e pratico che li lega e li raggruma nelle manifestazioni violente così come li divide quando c’è di mezzo la partita e il tifo.
Abbiamo perso la possibilità di ospitare i prossimi europei di calcio anche per l’immagine sporca che offriamo ad ogni appuntamento, viviamo di passione e di volgarità, anche tra gli addetti ai lavori, giornalisti compresi, pensiamo di crescere esibendo i titoli ottenuti a livello nazionale e internazionale ma siamo come i nuovi ricchi, cafoni con il caviale sulla tavola, maleducati ma con il portafoglio gonfio.

Abbiamo esportato i cervelli della scienza e dello sport e siamo costretti a convivere con la feccia, una partita di pallone è diventata la zona franca per qualunque gesto. Fabio Capello ama l’Italia ma un po’ meno gli italiani. Qualcun altro illustre due secoli fa, era D’Azeglio, pensava e diceva le stesse cose, senza andare allo stadio. Non è cambiato niente, con un pallone in campo.

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