da Roma
Incredibile, ma vero: a settantuno anni Jane Fonda, che regge ancora bene agli insulti del tempo, non ha smesso di giocare la carta sexy, vincente, per lei, tuttora testimonial di una casa cosmetica. Capelli corti sbarazzini, spolverino nero assassino e cintura in strass alla vita sottile, «Barbarella» fa la sua gran figura, anche quando un altro po si sloga il collo, a furia di girarsi all'indietro, per guardare le scene dei suoi film. Nel quadro dei ghiotti appuntamenti di «Extra», infatti, Hanoi Jane (era il nomignolo da pasionaria contro la guerra in Vietnam) ieri ha galvanizzato il pubblico della Festa, accorso più per lei che per le colleghe Chloris Leachman e Shirley Knight, anch'esse allieve dell'Actor's Studio di Lee Strasberg, adatte, dunque, a una riflessione sul mestiere dell'attore. «Grazie a Tornando a casa, il film di Al Ashby sui reduci del Vietnam, ho imparato molto sulla vita dei soldati Usa, sulle loro mogli. Ci abbiamo messo sei anni per realizzarlo, ma ebbe un forte impatto sui militari. Dai sondaggi fatti tra i reduci di quella guerra, Tornando a casa è in cima alle preferenze», spiega la figlia del celebre attore Henry Fonda e della contessa Afdera Franchetti, nonché sorella di Peter Fonda.
Riccioli al vento, cerchi d'oro alle orecchie, camicia indiana come usava nei Settanta, Jane, in quella prima pellicola che affrontava i problemi sessuali dei mutilati di guerra, incarnava la quintessenza della modernità femminile. Come quando le tocca la parte dell'ubriacona irrecuperabile nel film di Sidney Lumet Il mattino dopo (1986), dove finge d'avere una figlia moribonda, pur di salire a bordo di un aereo per Los Angeles... «Come faccio a passare dalle lacrime al riso? Lo faccio e basta: è tutto nella testa, ma non sono un'intellettuale. Odiando il ruolo della beona, ho pregato Strasberg di aiutarmi a superare la mia avversione. Mio marito era alcolista, ma quello fu il primo lungometraggio di Lumet e lo produceva mio padre. E andare d'accordo con lui, mi costò.. Finché girammo Sul lago dorato, mentre mio padre stava morendo. Una scena cruciale fu quella in cui dovevo dichiarargli il mio amore. Mia madre mi esortava: Ha ottant'anni, che aspetti a dirgli che gli vuoi bene?. Mi vennero le lacrime agli occhi, detti le spalle alla cinepresa, incrociando lo sguardo di Katharine Hepburn, che strinse il pugno, agitandolo.
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