Jozif Stanek

Come ben sanno coloro che seguono questa rubrica, il 13 giugno 1999 il papa Giovanni Paolo II iscrisse nell’albo dei Beati un folto gruppo di centootto martiri polacchi trucidati dai nazisti. Tre erano vescovi, cinquantadue sacerdoti e tre seminaristi appartenenti a diciotto diocesi e all’ordinariato militare; dei religiosi, ventisei erano padri e sette frati, più otto suore, facenti parte di ventidue famiglie religiose. Infine, nove, tra uomini e donne, erano semplici laici. La maggior parte di loro morì nei campi di concentramento, così suddivisi: quarantasei nel lager di Dachau, tredici in quello di Auschwitz, cinque a Sachsenhausen e tre a Stutthof. Contro di loro c’era l’odio ideologico, perché si trattava di cattolici, e anche quello razziale, appartenendo essi ai sotto-uomini slavi. Tuttavia, negli ultimi mesi, il nazionalismo della «Grande Germania» indusse gli aguzzini a chiudere un occhio sui prigionieri provenienti dalle zone polacche che i nazisti consideravano tedesche: se avessero sottoscritto una dichiarazione in cui accettavano l’appartenenza tedesca, sarebbero stati rimessi in libertà. Ma nessuno si sottomise. Naturalmente, i polacchi trucidati in odio alla loro fede «papista» furono molti di più, ma le indagini, fino ad ora, hanno permesso di certificare il martirio cattolico solo per i centootto beatificati nel 1999.

Di questi ultimi fa parte Jozif Stanek, sacerdote della congregazione dei Pallottini, nato nel 1916 e in carica come viceparroco a Czerniakow al momento dell’arresto. La Gestapo lo fermò a Varsavia nel 1944. Venne subito impiccato.

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