Cultura e Spettacoli

Julianne Moore: «I maschi non sanno parlare d’amore»

Nei cinema dal 27 settembre «Uomini&Donne», la commedia ambientata a New York in cui l’attrice è diretta dal marito regista. Nel cast anche David Duchovny

Cinzia Romani

da Roma

«Fate più sesso. Stile cani», consiglia lo psicanalista, pragmatico. La coppia in crisi vuole eseguire, perché dopo lo strizzacervelli ne hanno voglia, ma lei s’ingozza di torta (è l’ultimo giorno in cui può mangiare carboidrati) e la rigetta in faccia a lui, che, buono buono, rinuncia all’amplesso prescritto. Si tratta di Uomini&Donne (sugli schermi dal 27 ottobre), la divertente commedia corale di Bart Freundlich, sceneggiatore e regista di Manhattan, che nel 1997 ha sposato una star, Julianne Moore. Ed è lei, due nomination all’Oscar nello stesso anno (migliore attrice in Lontano dal paradiso e migliore attrice non protagonista per The Hours) e una candidatura al Golden Globe, oltre ad altre onorificenze conferitele dalla critica americana, la mattatrice di questa fiaba contemporanea. Naturalmente sofisticata, in quella studiata semplicità che è piaciuta in Un marito ideale, con Rupert Everett, ma soprattutto in America oggi, dov’era Altman a dirigerla, la Moore, planata a Roma da New York, dove vive, acconcia da destra a sinistra la lunga chioma rossa. E del suo personaggio, Rebecca, attrice di teatro, ma soprattutto moglie e madre alle prese con le Grandi Domande, spiega: «Ne amo la profonda comprensione per quello che conta nella vita». Ossia la felicità domestica, anche se, come qui, sono le donne a rincorrerla, come la tenera Elaine (Maggie Gyllenhaal, anche lei forte di numerosi premi), scrittrice di racconti per bambini e desiderosa di un figlio tutto suo.
Purtroppo, il di lei compagno Tobey (Billy Crudup, pure attore di teatro) è un Peter Pan. «È vero: di solito gli uomini parlano di sport e di pizza. Basti pensare che sento quattro volte al giorno la sigla del programma “Sport Center”, che mio marito guarda in tivù: è la colonna sonora della mia vita», scherza Julianne, testimonial pro-botulino di una casa di prodotti cosmetici, canticchiando il tormentone per far capire che anche lei è prima casalinga e poi stella di Hollywood. «Gli uomini non parlano di sentimenti, perché non hanno le parole per dirlo. Anche se oggi un amico di Bart gli ha inviato un sms, per comunicargli la fine di un amore. Wow, ho pensato, ma allora queste cose gli uomini le fanno!», riflette lei, intensa quando col corpo vola al Lincoln Theatre, per provare le battute, e con la mente al pericolo che il suo matrimonio sta correndo.
E se sullo schermo il marito Tom (David Duchovny, star del serial televisivo X-Files) pare un bamboccio indeciso a tutto e perciò pericolosissimo, nella vita vera Bart è una dolce metà intelligente, qui alla sua terza regia, con la moglie protagonista. «Uomini e donne comunicano in modo emozionalmente diverso. Io amo lo sport, ma ho scoperto che, quando gli uomini parlano di basket, usano metafore: in realtà, stanno parlando di emozioni. E il motore che fa andare avanti la mia commedia è la diversità di comunicazione», osserva il cineasta, innamorato della Grande Mela, ripresa nei caldi colori autunnali e sotto la sferza romantica della neve invernale.
Girare a New York il suo film a basso costo, quasi indipendente, è servito a Freundlich «per ambientare la quotidianità dei personaggi». Per Julianne Moore, figlia della Carolina del Nord, dopo l’11 settembre «la comunità newyorchese ha scelto di rimanere e d’impegnarsi per la propria città». E se questa commedia americana si avvale, oltre che di attori dotati, di formule collaudate, come in Manhattan di Woody Allen o nella serie tivù Sex and the city, con l’ambiente urbano decisivo nello svolgimento d’una matassa sentimental-erotica, ironia e amicizia appartengono a tutti. E pare che il film porti bene.

La Moore non faceva teatro da tredici anni e presto calcherà il palcoscenico con la pièce di David Hare Vertical Hour; la Gyllenhaal voleva un bebè e adesso è incinta.

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