La parola d’ordine è fermarli prima che sia troppo tardi, prima che il Kenya precipiti nel baratro del genocidio ripetendo gli orrori del Ruanda, della Somalia e della Sierra Leone. Ci provano l’ex potenza coloniale britannica, ci tentano gli Stati Uniti, alzano la voce la Chiesa e i suoi prelati, si sforzano di dimostrarsi utili gli Stati dell’Unione africana. Gli appelli congiunti di Condoleezza Rice e del segretario agli esteri britannico David Miliband si mescolano così a quelli dei vescovi e alla confusa voglia di mediazione di John Kufuor, il presidente del Ghana e dell’Unione africana che prima annuncia il suo arrivo a Nairobi e poi non si fa vedere. Nelle parole di tutti si legge il timore dell’irreparabile.
Le immagini strazianti della chiesa di Eldoret prima rifugio e poi forno crematorio per cinquanta donne e bambini delle tribù kikuyu non danno pace. Quel rogo rischia di consumare anche l’esile linea rossa della convivenza, l’ambiguo equilibrio fra sopportazione e scontro tribale che dall’indipendenza del 1963 in poi ha permesso al Kenya di superare odi, risentimenti e rivalità antiche trasformandolo in uno dei paesi più stabili d’Africa. I morti hanno ormai toccato quota 350 e gli sfollati sono più di 70mila, ma le tribù kikuyu fedeli al presidente uscente Mwai Kibaki e i militanti dell’opposizione di Raila Odinga, arruolati nei villaggi Luo, continuano a massacrarsi a colpi di machete.
Per sfuggire a quelle violenze decine di migliaia di persone senza cibo e senza medicine sopravvivono barricate nelle chiese. I vescovi cattolici, testimoni di tanta disperazione, lanciano l’allarme, segnalano il rischio di una «catastrofe umanitaria» e invitano al dialogo governo ed opposizione. «La situazione è bruttissima e rischia di peggiorare - racconta padre Martin Wanyoike, portavoce della Conferenza episcopale kenyana - abbiamo notizie di moltissime persone uccise, anche se i giornali locali non parlano di quanto succede».
Il segretario statunitense Condoleezza Rice e il ministro britannico David Miliband si affidano a un comunicato congiunto in cui chiedono «ai leader politici del paese e ai loro militanti di metter fine a ogni violenza». Dopo aver fatto intendere che Washington e Londra non tollereranno di veder compromessa la stabilità del paese, Rice e Miliband puntano il dito sui «rapporti indipendenti che rilevano serie irregolarità nel conteggio dei voti».
L’accenno a possibili frodi, già espresso dagli osservatori dell’Unione europea, è un chiaro invito a Kibaki a fare un passo indietro abbandonando, per il momento, la poltrona troppo frettolosamente rioccupata. Kibaki per tutta risposta butta benzina sul fuoco e accusa il rivale Odinga di stare fomentando un vero e proprio «genocidio». «Queste azioni ben organizzate di genocidio e pulizia etnica sono state tutte attentamente pianificate, finanziate e concertate dai capi dell’opposizione e del Movimento democratico Orange prima delle elezioni generali», denuncia il ministro dell’Ambiente Kivutha Kibwana parlando a nome del governo.
Neanche Raila Odinga sembra pronto a gesti di moderazione.
L’ambizioso capo dell’opposizione ha ripetutamente ignorato i sommessi inviti a un dialogo rivoltigli martedì da Kibaki, ricordando di essere disposto a trattare solo se il rivale abbandonerà la presidenza. A far più paura è la manifestazione di protesta, annunciata per oggi, con cui Odinga minaccia di sfidare i divieti del governo portando un milione di dimostranti nel cuore di Nairobi. Lo svolgimento o l’auspicata cancellazione della protesta rappresentano, secondo il nostro ministero degli Esteri, «un momento cruciale» per capire l’evolversi della situazione in Kenya. Si teme anche per un’analoga manifestazione, anch’essa non autorizzata, prevista a Mombasa, data la vicinanza delle località turistiche. Non a caso il capo dell’Unità di crisi della Farnesina, Elisabetta Belloni, ha lanciato un nuovo appello ai turisti italiani in vacanza in Kenya invitandoli alla massima prudenza.
Elisabetta Belloni conferma comunque che la situazione nelle zone frequentate dagli italiani è tranquilla. «Non ci sono connazionali coinvolti nei disordini - ha dichiarato ieri il funzionario - e le zone turistiche sono state risparmiate dagli incidenti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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