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Kenya, caos e violenze Accuse di pulizia etnica

Situazione sempre più difficile: 300 morti, 70mila sfollati. Cinquanta persone bruciate vive in una chiesa. Parla un testimone: "Mi sono nascosto in una latrina"

Kenya, caos e violenze 
Accuse di pulizia etnica

Nairobi - Il governo ha definito le uccisioni di membri della tribù Kikuyu nella Rift Valley atti di genocidio organizzato dall’opposizione. "Sta diventando chiaro che questi atti ben organizzati di genocidio e di pulizia etnica sono ben pianificati, finanziati e orchestrati dai leader (dell’Orange democratic movement) prima delle elezioni generali", si legge in un comunicato letto dal ministro Kivutha Kibwana a nome dei suoi colleghi.

Mobilitazione per la fine degli scontri La società civile del Kenya si mobilita e lancia un appello ai leader politici perchè raggiungano un compromesso che allontani lo spretto di una pulizia etnica nel paese. Oggi è atteso a Nairobi il presidente dell’Unione africana (Ua), John Kufuor, per una mediazione tra il Capo di stato keniano Kibaki e il leader dell’opposizione Odinga. Da parte loro, i principali alleati del Kenya, Londra e Washington, hanno lanciato un appello congiunto per sollecitare i leader keniani a "dare prova di spirito di compromesso, dando priorità agli interessi democratici del Kenya".

Sono oltre 300 le persone uccise negli scontri scoppiati dopo le contestate elezioni del 27 dicembre scorso e 70.000 gli sfollati. "C’è soltanto un modo per risolvere la terribile crisi che il Kenya è chiamato ad affrontare. Kibaki e Odinga hanno il dovere di sedersi a un tavolo e trovare un accordo per uscire in modo pacifico dal caos in cui il Kenya è precipitato", hanno scritto sul quotidiano "The Nation" due personalità molto rispettate nel paese, l’ex ambasciatore Bethuel Kiplagat e il generale in pensione Lazaro Sumbeiywo.

Tutti due hanno partecipato a mediazioni di pace in Sudan e in Somalia. Si mobilitano anche autorità religiose, personalità politiche, associazioni, soggetti economici come la stampa e si moltiplicano gli appelli alla riconciliazione, soprattutto all’indomani dell’incendio appiccato in una chiesa a Eldoret, nell’ovest del paese, dove sono rimaste uccise 50 persone. Un attacco condotto contro l’etnia kikuyo, la stessa del presidente Kibaki, da uomini delle altre etnie che hanno sostenuto la candidatura di Odinga. Una tragedia che ha riportato alla memoria gli orrori del genocidio ruandese del 1994, suscitando forte indignazione in un paese profondamente credente, anche se abituato da tempo gli scontri inter-etnici.

"Se non verrà presa alcuna decisione urgente per fermare la carneficina - scrive The Nation - il Kenya si affaccerà sull’abisso e si andrà ad aggiungere a paesi come la Costa d’Avorio, la Somalia, il Ruanda e la Sierra Leone che hanno già conosciuto il genocidio". Il quotidiano critica quindi con asprezza il comportamento tenuto dai dirigenti del Paese: "Si tratta di salvare le vite di keniani innocenti che muoiono nel più atroce nei modi, mentre i loro leader continuano a percepire ricchi salari, pagati dai contribuenti".

Appello congiunto Usa-Gb Il ministro degli Esteri britanico David Milliband e il segretario di Stato americano Condoleezza Rice hanno lanciato un appello congiunto ai leader del Kenya perché "s’impegnino in uno spirito di compromesso che dia la priorità agli interessi" del Paese, riferisce oggi il Foreign Office. Stati Uniti e Gran Bretagna accolgono favorevolmente l’impegno di Unione Europea, Unione Africana e Commonwealth "a rimanere impegnati in questo importante momento per la democrazia in Africa", afferma l’appello che segnala l’esistenza "di serie irregolarità" nel conteggio dei voti.

"La priorità immediata - si legge ancora - è combinare un appello dei leader del Kenya alla cessazione della violenza da parte dei loro sostenitori, con un intenso processo legale politico che possa costruire un futuro unito e pacifico per il Kenya". «Abbiamo seguito da vicino gli eventi in Kenya nelle ultime 48 ore.

Ci congratuliamo con il popolo del Kenya per il suo impegno a favore della democrazia", concludono Rice e Milliband.

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