Klaus, il liberista che dà fastidio all’Europa

In molti, tra gli euroscettici, hanno sperato che il presidente ceco Vaclav Klaus si ponesse quale pietra d'inciampo sulla strada di un potere europeo che procede a tappe forzate verso la costruzione dello Stato continentale e che vede nel Trattato di Lisbona una tappa cruciale nel perseguimento di tale obiettivo. Ma la speranza che egli imiti quel giovane che sulla piazza di Tienanmen, nel 1989, bloccò l'avanzata di un carro armato dell'esercito cinese, è destinata ad essere delusa: ieri ha ammesso che sarà costretto a cedere.
Non si tratta di mancanza di coraggio, ma dell'ovvia considerazione che una piccola nazione non può impedire il funzionamento dell'intera Unione. Forte del sostegno popolare (gli ultimi sondaggi parlano di due cechi su tre che ne condividono la battaglia), Klaus cercherà di ottenere qualche eccezione per la Cechia e poi lascerà che gli europei - se lo vogliono - proseguano sulla loro cattiva strada.
La lezione che in queste settimane ha impartito è però importante, perché ricorda un po' a tutti che si può fare politica a partire da solidi principi. E d'altra parte - insieme all'estone Mart Laar, al polacco Leszek Balcerowicz, al georgiano Kakha Benduckize e a pochi altri - egli fa parte di quella pattuglia di ardimentosi che, dopo il crollo del Muro, hanno avuto l'audacia di battersi per riforme vere: nella direzione del mercato e della proprietà privata.
Economista cecoslovacco non allineato all'inizio degli anni Settanta, e quindi messo da parte dal regime, Klaus ha conosciuto le idee liberali in Italia, nel corso di un periodo di studi passato a Napoli. Antonio Martino ama raccontare che quando il collega boemo gli spiegò tutto ciò, egli obiettò che la cosa gli suonava strana, data la scarsità di studiosi favorevoli al libero mercato, in quella come in ogni altra città italiana. Ma Klaus gli rispose che a Napoli, in verità, aveva avuto modo di trovare i libri giusti: e quello era stato sufficiente.
Con la fine del comunismo egli si butta in politica e - prima come ministro delle Finanze e poi come presidente del Consiglio - è fautore di riforme importanti. Così quando molti sono tentati dall'abbracciare soluzioni pasticciate (né liberali, né socialiste), egli dichiara che la terza via tra Stato e mercato è la strada più breve per arrivare nel Terzo mondo. In particolare, è lui a ideare quelle privatizzazioni che puntavano non solo a rendere più efficiente l'economia, ma soprattutto a restituire ai cittadini il controllo su quelli che i marxisti sono soliti chiamare i "mezzi di produzione". Dopo l'esproprio statalista operato dai gestori del bene comune, è questo paladino del libero mercato a pretendere che le azioni di molte aziende pubbliche siano distribuite alla gente in forma di "voucher".
La riforma funzionò solo in parte, soprattutto perché non fu accompagnata da una liberalizzazione del sistema finanziario, così che i fondi di investimenti cechi (a cui i cittadini affidarono la gestione dei titoli) non furono sottoposti a una vera concorrenza. Per giunta, non mancarono episodi di corruzione e molti sabotaggi da parte dell'apparato statale, a dimostrazione del fatto che cinquant'anni di socialismo reale lasciano il segno.
Ma a dispetto delle difficoltà, la svolta vi fu: sul piano economico come su quello culturale. Non a caso oggi Klaus avversa il Trattato di Lisbona perché - come ha ricordato lo scorso 10 settembre - vede in esso una minaccia alla stabilità dei titoli di proprietà. L'ordine giuridico ceco guarda insomma con preoccupazione alle logiche interventiste e egualitarie che dominano il "Brussels consensus".
Controcorrente quando avversa il dirigismo degli eurocrati, Klaus non è uomo che tema di sfidare i luoghi comuni. E non a caso è autore di un volume intitolato Pianeta blu, non verde (edito in Italia da Ibl Libri) in cui smonta i dogmi dell'ecologismo in materia di riscaldamento globale. La sua tesi è che il fondamentalismo dei verdi minaccia la natura stessa dell'Occidente e per questo bisogna contrastarlo in ogni occasione.


Per Klaus, la libertà non è mai acquisita in forma definitiva, una volta per sempre. Ed è anche per questo che egli ama definirsi tuttora, nonostante il comunismo sia finito nella spazzatura della storia, un "dissidente europeo".

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