L’addio alle armi dell’Ira: «Basta con la guerriglia»

L’Esercito repubblicano irlandese annuncia la fine della lotta armata e promette di continuare la battaglia per l’unità dell’isola con mezzi pacifici

L’addio alle armi dell’Ira: «Basta con la guerriglia»

Roberto Fabbri

Basta con la guerriglia, è l’ora della politica. L’Ira, l’«Esercito repubblicano» che per più di trent’anni ha abbondantemente sparso sangue inglese nel nome del ritorno dell’Ulster alla madrepatria irlandese, dà un taglio al passato e spara l’annuncio che molti attendevano ma nel quale pochi speravano: dalle 17 di ieri il cumulo di armi accatastato per la lotta armata (pezzi d’artiglieria pesante, lanciamissili, fucili kalashnikov e di precisione oltre ad almeno due tonnellate del micidiale esplosivo plastico Semtex) verrà deposto e la parola passerà al confronto politico.
Il comunicato dell’Irish Republican Army (che è responsabile di una buona metà dei circa 3600 morti in trent’anni di violenze e atti di terrorismo nell’Irlanda del Nord e in Inghilterra) è esplicito. «La leadership della Oglaigh na hEireann ha formalmente ordinato la fine della lotta armata. Tutte le unità dell'Ira hanno ricevuto l'ordine di deporre le armi. Tutti i volontari hanno ricevuto istruzioni per contribuire allo sviluppo di programmi politici e democratici attraverso l'uso esclusivo di canali pacifici. I volontari non devono intraprendere nessun'altra attività».
«La leadership dell'Ira - prosegue il comunicato - ha anche autorizzato i nostri rappresentanti a cooperare con l'Iicd (Commissione indipendente internazionale sul disarmo) per completare il processo in un modo che potrà accrescere ulteriormente la fiducia e che si possa concludere al più presto. Abbiamo invitato due osservatori indipendenti di credo cattolico e protestante ad assistere».
Il testo continua sottolineando «il modo onesto e franco» in cui sono avvenute le consultazioni all’interno dell’organizzazione armata per giungere a «un forte sostegno per la strategia di pace del Sinn Féin» (il braccio politico dell’Ira che sotto la guida di Gerry Adams ha avviato fin dal 1994 una svolta radicale). Accusa gli unionisti (ossia i protestanti fautori del dominio britannico sull’Ulster) di scarso impegno nel processo di pacificazione e chiede agli adepti il massimo impegno anche nella nuova fase. Ma non rinuncia a rivendicare la legittimità di quella precedente, costata tante vite e tante sofferenze. E ribadisce che cambiano gli strumenti ma non gli obiettivi: quelli «di unità irlandese e indipendenza e per la costruzione della Repubblica come delineata nella Proclamazione del 1916».
In una conferenza stampa tenuta nel pomeriggio di ieri a Dublino, Gerry Adams ha detto che «è arrivato il momento della pace, della giustizia e della ricostruzione» e ha invitato i governi irlandese e britannico ad applicare in pieno gli accordi del Venerdì Santo del 1998, che prevedono anche la «smilitarizzazione e il rispetto dell'uguaglianza e dei diritti umani» nell'Irlanda del Nord. Ai nazionalisti irlandesi, molti dei quali sono scettici rispetto a una politica di pacificazione con gli inglesi, Adams ha chiesto «unità e solidarietà».
Le reazioni positive dei leader politici irlandesi non si sono fatte attendere. Bertie Ahern, primo ministro di Dublino, ha detto che l’impegno dell’Ira alla pace (impegno che include tra l’altro il completamento di un processo di effettivo disarmo che gli unionisti hanno sempre considerato disatteso o comunque poco trasparente) «può aprire una nuova era per l'Irlanda». Nell’Ulster i commenti sono più variegati, ma prevale il convincimento che da oggi in poi spetterà al Sinn Féin operare per far sì che l’annuncio dell’Ira non resti lettera morta. Non si dimentica infatti che l’«Esercito repubblicano irlandese» è responsabile di aver compiuto ancora nel dicembre scorso la clamorosa rapina da 26 milioni di sterline alla Northern Bank e di aver ucciso il mese successivo il cattolico Robert McCartney. Così se il partito Unionista dell’Ulster giustifica il diffuso scetticismo e teme che ancora una volta trionferà la retorica, il reverendo Ian Paisley - irriducibile portabandiera britannico in terra nordirlandese e capo dei ben più radicali Unionisti Democratici - ricorda con sarcasmo che l'Ira è sempre tornata sui suoi passi dopo aver fatto dichiarazioni «storiche».
Da registrare infine, sempre in tema di scetticismi, che il ministro britannico per l’Irlanda del Nord Peter Hain ha lodato «la chiarezza della dichiarazione dell’Ira, che la rende diversa dalle precedenti».

Ma ha al tempo stesso dichiarato che il suo governo ha commissionato alla Independent Monitoring Commission - la commissione di quattro membri che monitora il cessate il fuoco - un rapporto per gli inizi del prossimo anno per verificare se l'Ira ha veramente cessato ogni attività armata.

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