In televisione la destra non esiste, osserva Marcello Veneziani nel suo bellarticolo di ieri. Però, si può aggiungere che, nonostante questo, la sinistra è politicamente disperata. In tv fanno notizia Santoro, Saviano, Gabanelli ancora prima di andare in onda, però nonostante loro, anzi, grazie a loro, la sinistra non è riuscita a costruirsi una classe dirigente credibile. Invece di aprirsi a un sereno contrasto di opinione, linformazione di sinistra, così come la magistratura militante, genera una febbre permanente nel corpo sociale che impedisce la maturazione di un progetto politico credibile in grado di aggregare allargare il consenso.
Una cultura si traduce, nella sua comprensione immediata, attraverso il linguaggio. Quando negli anni 70 i comunisti entrarono alla Rai, Curzi portò il linguaggio aggressivo di Radio Praga e Guglielmi quello sessantottino barricadiero e assembleare. A distanza di decenni, i due linguaggi sono confluiti nei nostri attuali presentatori di sinistra che vivono il loro mestiere come una militanza politica, usando un linguaggio fazioso, provocatorio, cattivo.
Abbiamo più volte potuto constatare che il tipo di comunicazione di questo linguaggio (quindi della sua cultura sottostante) è un fenomeno limitato che non influenza gli orientamenti elettorali. Tuttavia culturalmente è un problema perché chiude la discussione pubblica, mettendo in atto procedure inquisitorie e offensive. Si individua lavversario, questo viene marginalizzato e ridicolizzato, mentre sotto i riflettori si accende lo splendore della visione del mondo della sinistra. La forma comunicativa è sempre eccitata, febbricitante, autoreferenziale nella sostanza, capace di rivolgersi soltanto a una minoranza che sa già dove va a finire il discorso, ma assolutamente incapace di allargare il consenso nel merito delle questioni affrontate.
La destra non potrà mai competere con il teatrino dei Santoro, Saviano, Gabanelli semplicemente perché non possiede il loro linguaggio, perché il linguaggio di destra febbricitante e militante rimane quello fascista che, ovviamente, è improponibile. La destra di oggi ha una comunicazione ragionata, pacata; i presentatori cercano lequilibrio e non la militanza, abbassano la tensione della polemica, sostituiscono linvettiva con la riflessione. È chiaro che, non provocando, neppure fanno rimbalzare la notizia, e così, chi ascolta, ha la sensazione che il linguaggio barricadiero dei presentatori militanti è molto più efficace di quello riflessivo ed equilibrato. Ma efficace per che cosa di sostanziale se non convincono lelettorato, se non formano un progetto politico?
Nel giornalismo di destra è accaduto invece qualcosa di diverso da quello televisivo. Longanesi aveva liberato il linguaggio della destra dalle intonazioni fasciste, ma lasciandogli forza, aggressività, ironia tagliente. Quel linguaggio è passato da Longanesi a Montanelli a Feltri. Il linguaggio televisivo di destra non ha avuto un Longanesi. Bisognerebbe inventarlo.
Intanto è bene essere consapevoli che il tipo di linguaggio aggressivo, assembleare sessantottesco, il tipo di presentatore militante e il tipo di trasmissioni insurrezionali esisteranno finché informazione e magistratura riusciranno a tenere alta la febbre nel nostro corpo sociale. Impensabile, culturalmente, che la destra possa competere con quel modello di comunicazione. E se qualcuno ci prova, deve sapere che è anche pericoloso. Il nostro vicedirettore Nicola Porro, che ha continuato a provarci, ha finito per avere i carabinieri in casa.
Piuttosto, si dovrebbe trovare la tachipirina per azzerare quella febbre che genera tanta vitalità nelle trasmissioni insurrezionali della Rai.
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