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L’analisi Sono sensibili molto più degli uomini che non li capiscono

La coscienza e gli animali, l’anima e gli animali. Antiche domande, antiche riflessioni che hanno occupato nei secoli le menti di eccelsi filosofi, poeti, artisti, uomini di fede e gente del tutto comune.
Uno degli errori più comuni perpetrati nel tempo anche da menti umane raffinate e costantemente dai ricercatori cognitivisti, è la confusione sul termine «intelligenza». È degli ultimi mesi una ricerca, condotta da psicologi, anglosassoni volta a concludere se sia più intelligente il cane o il gatto e se, all’interno delle razze canine, sia più intelligente il barboncino piuttosto che il levriere afghano. Qual era la misura dell’intelligenza per i ricercatori? La capacità di interagire con l’uomo e, in qualche modo, la capacità di sottostare e rispondere ai suoi voleri. Io ti tiro la pallina e tu me la riporti indietro. Se questa è l'arma con cui battersi sarà facile la conclusione che il gatto è un perfetto idiota e il levriere persiano forse il più ignorante delle razze canine.
Cambiamo ora prospettiva e ipotizziamo che la vera intelligenza stia nella capacità di cavarsela in condizioni di difficili, nell’esercitare dunque quell'istinto della sopravvivenza, primum movens, di tutti gli organismi viventi. Cambierebbe tutto. Il labrador di casa, fenomenale nel riportare la pallina, non più alimentato e curato dal suo proprietario che lo ha scaricato in un quartiere di periferia, avrebbe poco da vivere, mentre il gatto, che guarda la pallina con fare circospetto e se ne frega assolutamente di riportarvela indietro, non avrebbe nessuna difficoltà a sbarcare il lunario, riparandosi ora in una soffitta, ora in una cantina, leccando qualche goccia di rugiada e traendo linfa ed energie da lucertole, anfibi e persino insetti
Un grande filosofo che si chiama Schopenhauer aveva già espresso quello che altri antichi pensatori avevano intuito e che poi sarebbe stato sancito dai grandi padri dell’etologia, ovvero che l’intelletto serve a capire la relazione delle cose tra di loro e non c’è alcuna ragione di pensare che gli animali ne siano privi. Essi ne sono dotati proporzionalmente ai propri bisogni come è per tutti gli organismi viventi.
Lorenz, Tinbergen e gli altri grandi studiosi del comportamento animale in natura, hanno fatto strame del positivismo cartesiano che vedeva gli animali quali macchine biologiche mosse da puri istinti, quindi senza libertà di decisione e coscienza di sé. Konrad Lorenz, affiancato da un numero ormai preponderante di studiosi, non ha avuto alcuna difficoltà ad affermare, per tutta la sua vita, che gli animali non solo provano sentimenti, ma hanno una loro coscienza di se medesimi.
Se definiamo la coscienza come la capacità di percepire il significato di un’informazione, possiamo essere certi che ogni organismo animale (e forse vegetale) ne è dotato. La vita stessa è costituita da un intricato reticolo di informazioni che viaggiano a varie velocità e chi non è in grado di decodificare tali informazioni si può dire che non abbia vita e quindi coscienza. Guardate l'immagine del cane, che ha appena salvato una vita, con i cuscinetti carbonizzati nell'inferno del Ground Zero e ditemi che non prova emozione e che non ha coscienza di quanto ha appena fatto.

Se non lo capite, dal suo sguardo, vuol dire che è a voi che manca la coscienza, ottenebrati dall’arroganza di essere superiori a tutti sulla terra e nell’universo.
Il mio personale plauso al ministro Brambilla. Ce ne vorrebbero di amministratori con il suo coraggio e la sua determinazione. Chapeau, madame.

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