L’Aniene dimenticato tra rifiuti e bidonville

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Valeria Arnaldi

Baracche di legno e metallo, tetti di lamiera con comignoli di fortuna. Ecco le «sorprese» dell’Aniene, secondo fiume della capitale per importanza, ma primo per inquinamento e degrado. Sulle sponde romane del suo letto, nascoste da una fitta vegetazione, sorgono, infatti, mini-bidonville occupate per lo più da romeni e moldavi. Se ne trovano numerose nei tratti che attraversano Montesacro, il Nomentano e presso via del Fosso di Sant’Agnese. Sono visibili a occhio nudo tra gli alberi quelle all’altezza di Ponte Mammolo. La situazione non migliora verso La Rustica. Le baracche sono solo l’ultimo segno di un annoso abbandono che ha trasformato le rive in una discarica: frigoriferi, divani, mobili, pezzi d’automobile o metalli «caduti» dai tanti sfasciacarrozze dei dintorni. Senza contare i rifiuti che, ciclicamente, si ammassano nel tratto prossimo al campo nomadi di via di Salone. Tutto questo contribuisce al grave inquinamento del fiume, profondamente influenzato dai comuni che attraversa. La qualità delle sue acque, infatti, buona all’ingresso nella provincia di Roma, peggiora gradualmente procedendo da Castel Madama alla bassa valle dell’Aniene, in cui con Tivoli, Guidonia e Roma, si concentra una densità di circa 300mila abitanti per chilometro di fiume. L’inquinamento si estende anche ad alcuni dei suoi affluenti e arriva a contaminare il Tevere, in cui sfocia, diventandone una delle maggiori cause di degrado. Molti i progetti di riqualificazione lanciati dal Campidoglio nel corso degli anni, pochi e insufficienti quelli tradotti in pratica. Così come i controlli delle forze dell’ordine sulle sponde, complicati dalla scarsa navigabilità dell’Aniene. Eppure il fiume è parte integrante della storia della città. Le sue acque servivano Roma già grazie all’acquedotto Anio Vetus, costruito tra il 272 e il 269 a.C. con il bottino della vittoria su Pirro, e poi con l’Anio Novus, il più lungo e il più alto dell’Urbe. Ancora visibili le rovine dell’acquedotto Claudio, costruito tra il 38 e il 52 d.C., che aveva la sorgente proprio nell’alta valle dell’Aniene. Numerosi i reperti ritrovati sui suoi argini, testimonianza della stretta relazione tra etruschi e romani, non a caso il nome «Aniene», per Plutarco, deriva dal re etrusco Anio. Nelle sue acque, secondo il mito, fu gettato il cadavere di Rea Silvia, vestale che, incinta di Marte, fu condannata a morte per aver infranto il voto di castità. Fu il dio del fiume a salvarla e a far «scorrere» i suoi figli, Romolo e Remo, fino all’incontro con la lupa e al destino di fondare la Città Eterna. Nelle stesse acque, nel 135 a.C., l’imperatore Adriano fece annegare Santa Sinforosa, che con i suoi sette figli rifiutò di abiurare la fede cristiana. Al valore storico-mitologico si aggiunge quello ambientale: sulle sue rive crescono piante protette, spesso tagliate dai «baraccati» per farne legna.

Ma l’attenzione delle istituzioni è concentrata esclusivamente sul Tevere che, mentre l’Aniene si costella di baracche, diventa il centro della movida romana con ristoranti, discoteche, piano bar, e perfino nuovi palcoscenici per musica dal vivo e cabaret. E per l’Aniene essere il secondo significa solo essere l’ultimo.

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