L’anima rossa del papà di Bobo

Un comunista prestato ai fumetti o un cartoonist prestato al comunismo? Nel caso di Sergio Staino, toscano, classe 1940, una moglie peruviana e due figli, la distinzione è ininfluente. Sin dai suoi esordi come vignettista nel 1979 sulla rivista «Linus», l’ex insegnante di scuola media con laurea in architettura, ha fatto satira. Soprattutto politica. E soprattutto di sinistra. E presto il suo «Bobo», caricatura autobiografica e non di Umberto Eco come insinuavano i maligni, divenne personaggio di successo e tracimò sul «Messaggero» e «L’Unità». Con la popolarità crescono le ambizioni e nel 1986 Staino fonda e dirige il settimanale satirico «Tango», su cui compaiono alcune delle più importanti firme della satira del periodo. Nel 1987 approda alla tv portando su Raitre «Teletango». Successive collaborazioni con la televisione pubblica, nel 1990 e nel 1993, danno vita a un varietà satirico condotto da Claudio Bisio e Athina Cenci, «Cielito lindo». Durante quello stesso periodo, il versatile disegnatore si cimenta con la regia e la sceneggiatura, prima con il film «Cavalli si nasce», poi con «Non chiamarmi Omar». Nel 2007, sempre per «L’Unità», realizza «M», «periodico di filosofia da ridere e politica da piangere». Dal 2003 Staino è presidente onorario dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti e pubblica vignette sull’organo stampa dell'associazione, «L'Ateo». Tetragono ai rovesci della sinistra, resta sempre fedele al partito che fu di Berlinguer.

Finché nel 2009 il Pd lo ricambia con una minaccia di espulsione per essersi candidato alle Europee con Sinistra e libertà. E lui, beffardo, si difende: «Cosa c’è di male? Li voglio solo aiutare a raggiungere il 4 per cento. Punto ai voti della gente del Pd che rischia di astenersi o votare Di Pietro».

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