E'notte fonda a Bangkok. Ma a Pak Klong Dtalat, il variopinto mercato dei fiori, nessuno sembra farci caso. Sulle bancarelle sono ammucchiate cataste di phuang malai, ghirlande di profumati gelsomini, e mazzi d'ogni colore e dimensione. I fiori, rigorosamente freschi, arrivano dalle zone rurali e sono scaricati e «lavorati» in tempo reale. Iithia, piccola thailandese dai lunghi capelli neri, sta intagliando un fiore di loto, che sarà offerto a Budda. Mentre migliaia di corone gialle saranno appese nei templi indù. Giallo è anche il colore di Sua Maestà Re Bhumibol: ogni ritratto, in ogni angolo del Regno, è ornato da una collana color raggio di sole. E ancora accatastate sui banchetti ci sono migliaia di orchidee destinate ai falang (gli occidentali). Le contrattazioni fervono, il vociare dei venditori si mescola alla forti sonorità della musica locale e ai clacson dei tuk tuk. E' ormai l'alba, il mercato lentamente si svuota: il cielo si tinge di viola, le merci sono vendute. Domani è un'altra notte, tutto ricomincia daccapo.
Bangkok, porta d'accesso al Sudest asiatico, è una caotica megalopoli di forse dodici milioni di abitanti. Tradizione e modernità si confondono tra le cupole dorate dei quattrocento templi e gli innumerevoli grattacieli di cemento che caratterizzano lo skyline cittadino.
Lontanissimo è ormai il ricordo delle alluvioni che lo scorso ottobre misero in ginocchio la nazione: le acque si sono ovunque ritirate, le attività hanno ripreso da tempo i ritmi consueti. Seconda economia dell'Indocina, primo esportatore di riso al mondo, la Thailandia scommette da sempre sul turismo che costituisce il 6% del Pil e dà lavoro a due milioni di persone. E Tat, l'Ente del turismo thailandese, prevede per il 2012 una crescita del 6,83%, pari a 19,55 milioni di visitatori. Il Paese infatti offre moltissimo sotto ogni aspetto: archeologico, culturale, gastronomico, naturalistico. E punta ad un turismo sempre più sostenibile.
Da Bangkok in meno di un'ora si raggiungono le rovine di Ayuttaya, capitale del Regno di Siam per ben 417 anni, oggi patrimonio Unesco. E il tempio di Wat Phanang Choen, gestito da una comunità di monaci Hinayana (o «piccolo veicolo», la scuola di buddismo prevalente nel Sudest asiatico e in Sri Lanka). I fedeli salgono la scalinata, si levano le scarpe e portano offerte al grande Budda d'oro, alto 32 metri. Pregano mentre si svolge la cerimonia di vestizione della statua e lanciano in aria i bastoncini per scoprire cosa ha in serbo la sorte per loro. Fuori dal tempio, sotto un ampio tendone, un centinaio di bonzi dai quattordici ai quarant'anni, tutti con il tradizionale vestito arancione, sono intenti a scrivere. Il 95% dei thailandesi è buddista, e quasi tutti gli uomini, per un periodo più o meno lungo, entrano in monastero. Si è bonzi infatti solo finché ci si sente tali. In questa zona anche le donne - rasate e vestite di bianco - sono ammesse alla vita monastica ma restano novizie.
Il tempo potrebbe dilatarsi all'infinito ma i falang ripartono, in gran fretta, alla ricerca di lidi esotici. Come nel romanzo di Alex Garland «The Beach» da cui è stato tratto il film con Leonardo Di Caprio. Ad una sola ora d'aereo ci sono Phuket e la provincia di Krabi che offrono scorci naturali tra i più belli al mondo. Qui la giungla è «reale» anche se ci si arriva su comodi pulmini con l'aria condizionata a manetta. L'avventura può avere inizio, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Dall'escursione nella foresta pluviale a dorso d' elefante - come gli antichi guerrieri siamesi che combattevano esclusivamente a cavallo di questi pachidermi - al rafting su zattere di canne di bamboo. O al kayak tra lagune blu e mangrovie. Poi c'è il mar delle Andamane. E i suoi celeberrimi faraglioni. In particolare due isolotti, Phi Phi Don e Phi Phi Leh, e il Parco marino di Hat Noppharat Thara. Il paradiso perduto è trovato, il tempo qui si ferma davvero: non a caso la lingua thai coniuga solo il presente, non ci sono nè passato nè futuro.
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