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L’antico potere dell’atropina che faceva volare le streghe

È un veleno che crea allucinazioni ma è usato anche dagli oculisti

L’antico potere dell’atropina che faceva volare le streghe

Era il sussurro delle streghe. Caldo, umido, avvolgente. L’unguento per volare al sabba, per incontrare Satana, il maestro delle allucinazioni. Impacchi e infusi di atropina sapientemente dosati per stordire, eccitare, stralunare. Un’altalena tra la vita e la morte: un pizzico in più e diventava solo veleno che non lasciava scampo. Il resto era magia, sapore di incanto, rito da maneggiare, alchimia.
L'atropina si nasconde in piante dal nome e dal sapore antico, lo Stramonio, il Giusquiamo, la Mandragora, la Belladonna. Tutte hanno un potere ipnotico e afrodisiaco. Le ritrovi sotto diverso nome nell'Odissea e nel Cantico dei Cantici, in un'orazione di Demostene e nel teatro di Machiavelli, nei racconti minimalisti di Raymond Carver e nel Nome della Rosa. È il veleno che piace a streghe, narratori e poeti. È una medicina da sempre amica di medici e alchimisti, già utilizzata da Ippocrate nel 400 a.c.
Il suo incontro con la cocaina non è nuovo. Taglia bene, il problema è la misura. Il segreto di questo veleno è nelle sue dosi, nella sua insidiosa magia, troppo raffinata per un gruppuscolo di spacciatori. La differenza tra la dose che crea allucinazione e quella mortale è minima. Il confine tra il paradiso artificiale e la morte è a meno di un passo.
L'atropina seduce e fa male anche nelle mani di scienziati e ricercatori. Nel 1960 WIll-Erich Peuckert, un professore di antropologia dell’università tedesca di Gottinaga aveva tra le mani un’antica ricetta da streghe. Non ha resistito alla tentazione. Nel Magia Naturalis di Giambattista della Porta c’erano tutte le indicazioni. Le ha seguite passo passo, con precisione e coraggio, bilanciando composti e mescolando derivati. Ne è uscita una pomata che ha sperimentato su se stesso. Lo ha colto un sonno profondo di oltre venti ore; visioni di mostri, ambienti infernali e creature sataniche. L’antropina stava sfoderando tutte le sue doti, le sue virtù magiche, allucinogene. «Se contenuta in unguenti, pomate o semplici impacchi preparati con la pianta d’origine - dicono i farmacologi - questa sostanza ha ha la particolarità di essere facilmente assorbita dalla pelle».
Ancora adesso gli analoghi dell’antropina costituiscono la «terapia bulgara» contro il morbo di Parkinson. Per molto tempo è rimasta una delle poche armi disponibili per controllare la malattia. Oggi l’uso è limitato all’oculistica. Serve per dilatare la pupilla ed esaminare meglio il fondo dell’occhio.

E forse è proprio per questo effetto che si chiama anche Belladonna: occhi grandi capaci di sedurre.

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