L’antinuclearismo è una pulsione soltanto ideologica

Caro Granzotto, nel riferirmi alla lettera di Franco Battaglia e alla sua risposta di venerdì 22 aprile, sono meno pessimista. Ho vissuto tutte le vicissitudini dell’introduzione dell’energia nucleare nelle strategie energetiche mondiali, dagli anni ’50 in poi. Ricordo le posizioni d’avanguardia del nostro Paese, patria di Fermi, Amaldi e Ippolito, il fiorire e il declinare di una grande cultura scientifica nucleare, la sorte dei nostri impianti aperti e chiusi a seguito di forsennate campagne antinucleari non solo di origine radical-ambientalista ma alimentate anche dagli interessi di compagnie petrolifere e sostenute da crassa miopia politica. Ricordo gli incidenti di ThreeMile Island (’79), Chernobyl (’86) e vivo ora quello di Fukushima. Con Chernobyl, il massimo disastro per un impianto nucleare civile dovuto a una folle gestione, l’impatto ambientale e le conseguenze sanitarie, pur deprecabili, furono limitate e la produzione di energia elettronucleare su scala mondiale non subì arresti né eccessivi rallentamenti, tanto da aumentare di oltre il 50% da allora, contribuendo a diminuire i danni ambientali e a equilibrare i costi energetici. Sono convinto che anche questa volta, valutate le conseguenze dell’incidente di Fukushima, dovuto a cause esterne inimmaginabili e di portata largamente inferiore a Chernobyl, la produzione di energia nucleare, con un parco di reattori già in commercio e di grande affidabilità, dopo una pausa di verifica riprenderà perché necessaria. Dove non arriverà la forza della ragione, arriverà la forza delle cose. Da fisico nucleare ed esperto di radioattività ambientale credo sia soprattutto la mancanza di una cultura scientifica adeguata a non permettere di vincere la paura dell’energia nucleare. Se, a differenza di altri Paesi, il nostro si fermerà ancora una volta, potrei semplicemente ripetere ciò che, in occasione del famigerato referendum dell’87, lo stesso Edoardo Amaldi mi disse: «Caro Ricci, se gli italiani vogliono darsi delle martellate sugli stinchi, facciano pure. Noi abbiamo detto e dato!».

della scienza, Presidente Associazione
Italiana Nucleare

Molo convincente e altrettanto sconsolante la sua lettera, caro professore. Come lei, sono anch’io convinto che dove non arriverà quella della ragione, arriverà la forza delle cose. E che dunque, dopo esserci trastullati con i pannelli solari e le pale eoliche, faute de mieux anche noi adotteremo l’energia elettronucleare. Ma ci vorrà tempo e il tempo è danaro e il danaro è quello dei contribuenti, non di Babbo Natale. E poi, fosse solo una questione di ragione: l’antinucleare è una pulsione ideologica, àmbito entro il quale fa aggio la credenza, il sentimento, il dogma, non la ragione, la capacità del pensiero che è a fondamento del conoscere e dell’agire. L’ideologia che ha portato centinaia di milioni di esseri umani eppur provvisti di cervello a credere davvero che l’Urss fosse il paradiso dei lavoratori. Che la rivoluzione culturale di Mao - e il suo sbandierato Libretto rosso - segnassero la primavera di un nuovo mondo di pace, giustizia e libertà. E per scendere terra terra, che le attività umane - anche il lavarsi le mutande, come sosteneva il guru ambientalista Fulco Pratesi - fossero la causa di un sedicente riscaldamento globale che ci avrebbe mandati tutti arrosto. Così come non si può cavar sangue dalle rape, da quei cervelli lì, caro professore, non si può cavar ragione. Si convertiranno al nucleare solo quando saranno costretti - visto che il solare non muove gli ascensori - ad affrontare svariate rampe di scale per raggiungere i loro attici.

E siccome conosciamo bene le prevalenze del cretino, ingaggiarsi per divulgare una cultura che permetta di vincere la paura dell’energia nucleare è tempo sprecato. Ragione per cui mi unisco a quel genio di Edoardo Amaldi: si arrangino.
Paolo Granzotto

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