L’arringa del presidente: questo è un vero processo

da Roma

E alla fine, anche un personaggio eccellente e al di sopra delle parti come Cesare Ruperto, presidente emerito della Corte Costituzionale, sbottò come un tifoso qualsiasi di fronte a un’ingiustizia arbitrale contro la squadra del cuore. Proprio nel giorno in cui il dibattito in aula si conclude e la Caf si ritira per decidere il futuro di Juventus, Fiorentina, Lazio, Milan e 25 tra dirigenti, ex designatori e arbitri.
Ruperto non ne può più e al sesto giorno di processo, all’ennesimo accenno al giudizio su calciopoli «già scritto», esplode: «Anche all’esterno si insiste su questo punto, lo vediamo dai giornali - e io cerco di non leggerli - si parla e si sparla troppo di compressione della difesa, tutti ci mettono il becco». In questi giorni infatti tante voci, anche istituzionali (a partire dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella), si sono scagliate contro il processo: c’è chi come il presidente Cossiga alza i toni; chi come l’ex deputato Prc Giuliano Pisapia, ora alla guida della riforma del codice penale, bacchetta il processo e implicitamente anche Ruperto («Non si fa pulizia con questo giudizio sommario, manca il contraddittorio, il limite di difesa è solo virtuale»); c’è chi, adesso che l’Italia di Lippi è arrivata alla finale mondiale, prova a rigiocare la carta dell’amnistia. Chiacchiere che infastidiscono l’ex numero uno della Consulta: «Questo è un dibattimento espanso al massimo e voi potete prendervi tutto il tempo che volete e dire tutto quello che volete». Ruperto del resto lo va ripetendo dal primo giorno: «Sarà data la parola a tutti».
Ieri però ha voluto fare una sorta di autodifesa. «Ogni procedimento ha una propria fisionomia - rimarca - c’è quello penale, civile, religioso e anche questo sportivo. Certo, non siamo in Corte d’Assise, ma cerchiamo di arrivare il più possibile all’accertamento della verità». E allora l’ottantunenne magistrato punzecchia il legale di turno, l’avvocato fiorentino Mario Rocchi, difensore di Innocenzo Mazzini. «Mi dica, si è sentito forse meno libero nel suo discorso di quanto non lo sia nei tribunali o nelle corti che frequenta?». «Mi sento sempre libero, altrimenti non farei questo lavoro e oggi ancor di più», la replica dell’avvocato. «L’importante è che si sia sentito libero anche qui», ribatte Ruperto, dimostrando che le accuse alla Caf non hanno ragione d’essere.
Fatta la difesa, manca solo l’affondo finale che arriva con una stoccata da maestro. «Come si può pensare che un ex presidente della Corte Costituzionale si presti a strozzare, comprimere o limitare la difesa? Potete dire tutto quello che volete e la commissione poi in camera di consiglio, con il tempo che ci vorrà, esaminerà tutto». Insomma, sarà pure un processo sportivo, ma sarà un processo vero, fa capire il giudice catapultato tra arbitri, palline, presunti sorteggi taroccati e personaggi calcistici strani e controversi.

Salvo poi ritrovare, con un avversario di tante battaglie, Vincenzo Maria Siniscalchi, il gusto della battuta cacofonica: «Giustizia giusta», «come ghiaccio freddo» o della precisazione giuridica: «Con giustizia si indica il procedimento, ma anche il risultato». Ruperto se ne va, lasciando il segno e l’attesa è ora tutta spostata sui prossimi giorni, quando la Caf farà conoscere sentenza e motivazioni.

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