«Sono qui perché sono stato precettato da Maurizio», esordisce in serata Silvio Berlusconi davanti a una platea semideserta, tanto per mettere le cose in chiaro. Neanche mille persone, quel 30 marzo 2005. Poche, pochissime, ma sempre meglio delle cento anime che due ore prima siedevano nel vecchio Palasport di Firenze allinizio del battesimo di «Italia di nuovo», movimento di giovani cattolici nato per volontà dellex commissario della Croce rossa.
Scelli sa daver fatto flop. Sa che Berlusconi non gli perdonerà troppo facilmente le cinque ore trascorse in prefettura aspettando (invano) il bagno di folla che era stato assicurato allo staff di Palazzo Chigi impegnatissimo a sfruttare ogni secondo dellagenda del premier in vista delle imminenti elezioni regionali. Lavvocato civilista ed ex enfant prodige dellUnitalsi («a 16 anni mi salvò la Madonna di Lourdes» ama ricordare) sa che per lui è linizio della fine. Fa quel che può, si scusa. La prima domanda al premier dura quasi venti minuti. La seconda arriva da un signore di mezzetà, senza un capello. Un buon assist per una battuta in tema di calvizie e trapianti. Nulla di più.
Berlusconi è irritato. Sapeva che partecipare alla convention era un rischio, dopo le accuse di politicizzazione rivolte alla Croce rossa. Ma alla fine era partito. Alcuni «retroscenisti» caricano la responsabilità sullamico Gianni Letta. Ma Sandro Bondi scrive al Riformista e si prende la responsabilità daver consigliato il premier. Per il capo del governo il caso-Scelli è chiuso per sempre, perché da quel giorno Berlusconi non vuol più saperne. Scelli lavevano candidato alla Camera, nel 2001, ma lex vicesindaco di Roma, Walter Tocci, laveva sconfitto. A metà dicembre 2004 il premier gli aveva offerto a Palazzo Grazioli la candidatura per la presidenza della sua regione (lAbruzzo) ma il «crocerossino» aveva declinato linvito. Le malelingue sostengono puntasse più in alto, forse alla protezione civile, o forse a un ministero.
Linizio del declino porta la data del 30 marzo 2005.
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