L’epica che profuma di spezie

nostro inviato a Locarno

In Svizzera gli indiani si trovano così bene da farci anche il set dei loro film: serve un paesaggio montano, qualcosa che assomigli al Kashmir? Voilà, ecco l’Oberland bernese: via la fondue, avanti il riso basmati. Si girino le scene di guerra, quelle che in patria non piacciono. Non è quindi un caso se il festival di Locarno, arrivato all’edizione numero 58, mercoledì abbia voluto dedicare la serata d’apertura (Piazza grande, schermo più largo d’Europa e un soffitto di stelle) a The Rising - Ballad of Mangal Pandey, kolossal bollywoodiano sulla rivolta dei sepoys, soldati locali indu e musulmani al servizio dell’Impero britannico. Due ore da uscirne storditi: colori e rumori, canti e balli, cappa e spada, spezie e tessuti, epica e amori, storia e leggenda. Era il 1857: per Londra fu ammutinamento; per l’India la prima guerra di indipendenza. L’eroe, Mangal Pandey, è intepretato da Aamir Khan. Girò il primo film a cinque anni, poi arrivò il teatro e il college. Fa centro nei cuori delle donne e nelle teste dei critici: è il Divo. Locarno lo aveva già apprezzato quattro anni fa in Lagaan: ancora età vittoriana, di mezzo sempre una sfida all’esercito britannico, ci si gioca le tasse e si gioca a cricket. Gli inglesi prendono una batosta contro un’improvvisata squadra di contadini guidati da Bhuvan, eroe con la faccia di Khan. Tre ore e 40, 15 milioni di dollari incassati solo in India, successo ovunque, nomination all’Oscar.
Non arrivò la statuetta, ma Bollywood era pronta per un premio internazionale. Il Leone d’oro a Venezia: anno 2001, in laguna arriva Monsoon wedding con la regia di Mira Nair (già autrice di Salaam Bombay - 1988 - e Mississippi Masala - 1991 - in pre tempesta bollywoodiana). Ambientato a Delhi, racconta attraverso cinque vicende intrecciate tra loro la riunione di famiglia per un matrimonio combinato. È l’India dell’upper class, quella che ha svoltato economicamente, ma che almeno nei genitori è ancorata alle tradizioni. Dove l’Occidente è tentazione e anche perdizione e l’inglese si mischia all’hindi e al punjabi: una soap opera dai colori vivaci che se non ha soddisfatto in pieno le bramosie cerebrali dei critici ha invece stregato il pubblico.
E che il matrimonio sia un tema di facile esportazione per il cinema indiano lo testimonia anche Bride and prejudice, il trattamento riservato da Bombay al romanzo di Jane Austen. Nelle sale italiane è arrivato in questa stagione conquistando i cultori del genere: troppo raffinato per essere trash; troppo colorato per essere bollato come «romantico». La regista è Gurinder Chadha, la stessa di Band it like Beckham.

Insomma, la contaminazione avanza, Bollywood non è più solo un felice calembour e gli eroi indiani guadagnano terreno. Anche se Hrundi Bakshi (Peter Sellers in Hollywood party, 1969) continua a guardarli tutti da lontano.

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