L’eroe genovese Balilla scalda la platea degli appassionati

Anche la sesta lezione di Storia di Genova, nonostante il clima gelido (2 gradi in pizza De Ferrari), ha visto la presenza di moltissimi cittadini. Il professor Giovanni Assereto docente di Storia Moderna all’Università di Genova, ha illustrato gli avvenimenti relativi alla rivolta anti-austriaca del 1746 e alla «leggenda» del Balilla. Per comprendere bene lo scenario nel quale arrivò tale rivolta è necessario tenere presente la storia della famiglia Botta Adorno e dell’odio accumulato nei confronti della Repubblica di Genova. Hanno dato sette dogi alla Repubblica, ma Luigi Botta Adorno fu condannato in contumacia a morte e alla confisca dei beni, perché ritenuto colpevole di un tentativo di colpo di stato ai danni del doge allora in carica. Il figlio Antoniotto intraprese la carriera militare in Austria e crebbe con forti risentimenti nei confronti della Repubblica di Genova. Nel 1746, in piena guerra di successione austriaca (1740-1748), era al comando delle truppe austro-piemontesi che avevano occupato Genova.
Al doge Gian Francesco Brignole Sale che chiedeva «pietà per la città», rispose «Ai genovesi lascerò solo gli occhi per piangere». Genova dovette accettare le esose condizioni: tre milioni di «Genovine». Botta Adorno minacciò di spogliare la città se non fossero stati pagati. I soldati austro-piemontesi rubavano senza pudore, penetravano nelle case dei cittadini ed oltraggiavano le donne. I genovesi non aspettavano che un’occasione per scuotere l’odioso giogo. E l’occasione si presentò il 5 dicembre 1746, quando un drappello di soldati trascinava un grosso mortaio in Portoria. Sotto il suo peso la strada sprofondò e i soldati chiesero con insolenza l’aiuto di alcuni popolani. Poiché questi si rifiutarono, vennero picchiati con dei bastoni. Si racconta che un ragazzo, che la leggenda chiamò poi «Balilla», raccolto un sasso lo scagliò contro i soldati gridando «Che l’inse?». Fu il segnale della rivolta che da Portoria si estese rapidamente a tutti i quartieri. Il popolo furibondo chiese le armi, ma il Governo della Repubblica le rifiutò per paura di ritorsioni e mandò una delegazione dal Botta Adorno per esprimergli il rincrescimento per quanto accaduto. Ma la rivolta cresceva. Il 10 dicembre il popolo in rivolta si riprese Porta San Tommaso, Porta Lanterna e la batteria di S. Benigno.

Un popolano, Giovanni Carbone, riconquistate le chiavi della città, le riportò al Doge dicendogli: «Queste sono le chiavi che lor signori serenissimi hanno dato ai nostri nemici; procurino in avvenire di meglio conservarle, perché noi con il nostro sangue le abbiamo recuperate». I popolani si organizzarono e crearono una milizia di quindicimila uomini. Ancora una volta ebbe la meglio la tenace volontà di libertà del popolo genovese.
*Presidente Movimento Indipendentista Ligure

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