Una tempesta perfetta. Così un banchiere cinico ma realista ha definito la giornata di ieri sui mercati finanziari mondiali. Solo uno sprovveduto può legare la questione ai soli affari di casa nostra (non proprio ben condotti dal punto di vista economico). Anzi, converrebbe chiedere allo sprovveduto di sottoporsi alla prova del nove.
Una controprova dei propri pregiudizi è a disposizione di chiunque la voglia saggiare. Chi crede che il virus sia italiano si metta a comprare sulle piazze finanziarie a sua scelta di tutto il mondo. E buona fortuna. Parliamo piuttosto di cose serie e cioè di cosa sta accadendo. Peraltro come già abbiamo scritto, solo poche settimane fa, il grande tema oggi si chiama euro. Un esperimento che alla prova dello stress non sta reggendo. Non è possibile immaginare una moneta unica, con politiche fiscali ed economiche divergenti. Non si può immaginare la Germania che cresce al 3 per cento e con tassi a breve dell’1 e a lunga del 2 per cento, competere con l’Italia o la Spagna che crescono meno dell’1%,ma con tassi quattro volte più alti.Con l’aggravante di disporre una moneta unica e soprattutto di una politica monetaria che tiene in considerazione solo l’economia più virtuosa. Non stiamo bestemmiando in chiesa, stiamo semplicemente sostenendo che le economie europee sono malate, quasi terminali, tranne una.
E, nonostante ciò, al corpaccione europeo invece di prescrivere un antibiotico si somministra una blanda aspirina. Quando gli Stati Uniti si trovarono, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009,nel panico più totale, furono investiti da una cura da cavallo targata Fed (la loro banca centrale). Quando a marzo del 2009 i mercati a stelle e strisce ripresero a girare, fu solo per l’intervento massiccio della loro banca centrale che senza tante regole iniziò a comprare titoli di debito a piene mani.
Oggi la situazione, se vogliamo, è ancora più
complessa. L’Europa soffre per l’immenso debito pubblico che i suoi
Stati hanno accumulato. I virtuosi tedeschi hanno un debito pubblico
pari, in termini assoluti, a quello italiano, e hanno poco da brindare.
A ciò si aggiunge che le loro banche private hanno in portafogli
titoli di Stato di Paesi a rischio in notevole quantità. E se questi
Paesi dovessero saltare, si trascinerebbero anche i bilanci delle
banche di Berlino. Insomma ce n’è per tutti.
Per un’Europa che piange c’è un’America che non
ride. La soluzione del suo problema del 2008, dal punto di vista delle
politiche fiscali (non quelle monetarie adottate dalla Fed) è stata
suicida. O per essere più semplice è stato come nascondere la polvere
sotto al tappeto.
Il gigantesco debito che avevano contratto i
privati con i loro mutui, con le loro carte di credito, è passato dai
privati appunto al settore pubblico. Il problema non è stato cancellato:
è solo stato intestato a qualcun altro. E ora si trovano con la loro
economia che vale la mostruosa cifra di un quinto di quella globale,
impantanata: non cresce, la disoccupazione è alta.
Come se non bastasse nei Paesi emergenti si
rischia di soffocare, per il motivo opposto: troppa crescita. I loro
tassi di interesse sono stati alzati a livelli per noi occidentali
favolosi.
E il loro contributo alla crescita globale non è detto che continui ai livelli del passato.
Chi ha un euro in banca non sa cosa fare.
Difficile puntare su un’America così conciata. Troppo a rischio andare
sugli emergenti.L’Europa oggi sembra la Lehman. Insomma, le vendite sui
nostri mercati, tutti, hanno gioco facile.
Non è la fine del mondo. Ma la fine di un mondo
forse sì. Quello del debito e della moneta unica senza guida politica.
Ieri sui mercati c’erano solo venditori: il che è apparentemente privo
di senso. Ma il gioco era vendere tutto sapendo che dopo poche ore si
poteva ricomprare quel tutto con un buono sconto. Dall’inizio della
settimana la Borsa italiana ha perso il 13 per cento: roba da brividi.
La natura, diceva quel filosofo greco, fa di tutto per nascondersi. E
così abbiamo fatto noi con i nostri debitucci. Oggi si sono
finalmente mostrati nella loro dimensione e la via per risolverli è
scritta, ma politicamente molto difficile.
Per quanto riguarda noi europei, vi è una strada
con due tappe. La prima è quella di tamponare l’emergenza, spegnere il
fuoco. Insomma i quattro big dell’euro (Spagna, Italia, Francia e
Germania, fanno l’80 per cento del Pil europeo) devono mettersi
d’accordo per una politica economica unitaria. Devono, è molto
difficile, obbligare la Bce a emulare i cugini americani della Fed:
interventi forti sui mercati del debito. Insomma, comprare quei titoli
pubblici che oggi la speculazione getta nel cestino. È la prima tappa,
ma non basta.
Ci dobbiamo poi mettere in testa che sono finite
le generazioni sulle quali possiamo caricare debiti. Basta, stop. Non
ci sono più pasti gratis. Abbiamo un sistema di welfare che non regge
più. Non possiamo, ad esempio, permetterci pensioni e tutele di un
piccolo mondo che era fatto solo da Noi.
Quel mondo è diventato oggi
molto più ampio e i nuovi entranti girano a una velocità sei sette volte
la nostra. Si può anche decidere di mantenere la nostra tradizione:
saremmo condannati a un veloce declino. Per niente dorato.
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