Politica

L’eurobugia di Di Pietro: mai chiesta l’immunità

Il leader Idv è accusato di aver diffamato l’ex magistrato Verde per un articolo su un giornale comunista quando era eletto a Strasburgo. Dopo che «il Giornale» l’ha smascherato, lui si è difeso: «Ho sempre voluto farmi processare». Ma non è così

L’eurobugia di Di Pietro: mai chiesta l’immunità

Difficile credere che l’ex pubblico ministero Antonio Di Pietro abbia dimenticato le nozioni elementari della giurisprudenza. Più facile pensare che le conosca benissimo, ma che ne faccia un uso disinvolto. Ricapitoliamo. L’altro giorno il Giornale scrive che Di Pietro, da sempre contrario alle immunità dei parlamentari, ha chiesto l’immunità parlamentare per non comparire davanti al giudice civile in una causa di diffamazione intentatagli dall’ex giudice Filippo Verde. Siccome Di Pietro all’epoca dei fatti (un articolo su Rinascita della sinistra, ottobre 2002) era parlamentare europeo, l’istanza passerà al vaglio della Commissione giuridica della Ue giovedì prossimo, e in caso positivo (per Di Pietro) toccherà al Parlamento Ue votare sul suo caso.
Fin qui tutto liscio. Ieri, però, Di Pietro si è difeso in modo ambiguo. Non ha smentito nulla, ma ha diffuso una nota in cui spiega che «con riferimento alle notizie di stampa che ipotizzano ciò che io andrei a sostenere al Parlamento europeo la prossima settimana, specifico che non chiederò l’immunità, ma che il procedimento civile prosegua». La nota lascia intendere, in modo subliminale, che Di Pietro non abbia mai chiesto l’immunità parlamentare in questa causa, ma che anzi prenderà armi e bagagli per andare a Bruxelles a dire ai membri della Commissione Ue che lui non la vuole, perché invece intende battersi affinché «il procedimento civile prosegua», come se l’Ue volesse imporgli una protezione che lui si guarda bene dallo sfruttare. Strano, perché contraddirebbe tutto quello che Di Pietro e i suoi legali hanno finora sostenuto in cinque anni di causa civile.
E cioè che il passaggio «incriminato» dell’articolo su (tra gli altri) l’ex imputato nel processo Imi-Sir Filippo Verde fosse da intendersi come critica politica, e che pertanto si dovesse applicare l’articolo 68 della Costituzione, cioè proprio l’immunità parlamentare. C’è scritto testualmente così nella sua «comparsa conclusionale» (la difesa presentata al giudice nella prima udienza), dove l’avvocato Sergio Scicchitano, legale del leader Idv nonché deputato Idv, prende posizione dicendo che «l’articolo deve intendersi quale espressione di critica politica e che dunque si richiede che nel caso di specie venga applicato l’articolo 68 della Costituzione». Questo documento viene presentato e messo agli atti nel gennaio 2007, Tribunale di Roma. La medesima formula, con cui Di Pietro si trincera dietro l’immunità per evitare il rischio del risarcimento civile è stata perorata in tutti gli scritti difensivi, nelle memorie di replica e appunto nelle comparse conclusionali.
Ma Di Pietro ieri se ne era evidentemente scordato. «Tale rinuncia all’immunità verrà da me formulata in un atto scritto che pubblicherò sul mio blog, in modo da evitare qualsiasi strumentalizzazione». Lo stesso blog dove Tonino riprese, mesi dopo, il famoso articolo, pur avendo ammesso l’errore su Verde (scrisse che era imputato anche nel Lodo Mondadori). Questo «accanimento» sarà probabilmente un’aggravante nel giudizio che dovrà formulare la Commissione giuridica Ue, dove Tonino ha chiesto di sua spontanea volontà di comparire. E non certo per chiedere di essere «processato» senza sfruttare l’immunità da ex eurodeputato.
Anche perché altrimenti, perché mai Bruxelles dovrebbe occuparsi di una causa di risarcimento tra due cittadini italiani? Per legge il Parlamento (italiano o europeo che sia) è chiamato a pronunciarsi sull’immunità solo se una delle parti sollevi l’eccezione, cioè se l’accusato la richiede. Il giudice della prima udienza può anche decidere di applicarla d’ufficio, ma in questo caso non è successo, probabilmente perché il magistrato non ha ravvisato nell’articolo di Di Pietro un semplice caso di «opinione espressa nell’esercizio della funzione di parlamentare». Si sarebbe potuta chiudere lì la faccenda, con una sentenza negativa del giudice, se Di Pietro non avesse chiesto l’immunità e quindi il rinvio a Bruxelles.

Ora però ha cambiato idea. Forse perché non è più un segreto tra lui e i suoi legali?

Commenti