L’Europa ci dà lezioncine di bon ton

Caro Granzotto, sottoscrivo in pieno quanto da lei scritto circa la candidatura di Giuseppe Ciarrapico, ma le polemiche strumentali non cessano ed è di oggi la notizia, molto enfatizzata dalla stampa e dalle televisioni amiche della sinistra, di un altolà del Partito popolare europeo a «candidature fasciste» che suona come una condanna a Berlusconi, e questo non ci voleva.


Stia tranquillo, caro Martinelli: la «condanna dell’Europa» è solo l’ultima delle sgangherate isterie antiberlusconiane. Ora le spiego: il Ppe, Partito popolare europeo, è un consorzio di sessantanove partiti divisi fra trentasette nazioni. Dentro, c’è di tutto: non mi riferisco alla generica ideologia (di matrice democristiana con contributi liberali e conservatori), ma alle teste e ai cervelli dentro le teste. Che possono appartenere, così ci spieghiamo meglio, ad un Sarkozy come ad un Castagnetti. Partito virtuale in sé, il Ppe assume una certa concretezza in quanto gruppo parlamentare al Parlamento europeo. E qui ci siamo. Anche se ben addobbato e fornito, l’Europarlamento è un fantasma. Gli manca infatti l'attributo principale, il potere di legiferare. In pratica, l’Europarlamento è lì solo in veste di prototipo o meglio ancora di maquette di ciò che, con i pieni poteri normativi, avrebbe dovuto essere l’Assemblea dell’Europa-nazione, con la sua Costituzione, il suo governo, le sue leggi comuni alle decine di Paesi membri. Tutta roba per fortuna passata in cavalleria. Ciò precisato, nessuno nega ed io per primo che il Ppe sia una buona e stimabilissima faccenda alla quale portare il dovuto rispetto. Ma mi dica lei, caro Martinelli se di un gruppo parlamentare, di un partito che non esiste, di un Parlamento fantasma si può fare - come i balilla dell’antiberlusconismo pretendono - un qualcosa di simile al tribunale dell’Inquisizione o la cattedra dalla quale impartire lezioncine di bon ton politico. Oltre tutto il lussemburghese Jean Claude Juncker s’è limitato a buttare là una frase dovuta, di circostanza - «Nel Ppe niente fascisti» - aggiungendo subito dopo, a scanso di equivoci, di non conoscere Ciarrapico e dunque di non sapere se sia o meno fascista.
Che poi cosa vuol dire «fascista»? Ciarrapico è su piazza da non so quanto tempo e non risulta - come d’altronde possono confermare tanti illustri democratici che lo hanno frequentato e lusingato e corteggiato - che ricorra a sistemi illiberali. Oggi a Largo Focchetti gli danno addosso come iene, ma per Eugenio Scalfari e il principe Caracciolo il fascista Giuseppe Ciarrapico non era poi tanto fascista, non era poi tanto «impresentabile», quando lo chiamarono a fare da mediatore fra loro e Berlusconi per stabilire a chi toccasse La Repubblica. Doveva vedere, i salamelecchi! E il Ciarra di allora è il Ciarra di oggi, caro Martinelli, tale e quale: non mette mano all’olio di ricino o spedisce gente al confino in qualche isola delle Eolie, si limita a non deprecare, a non criminalizzare in blocco ciò che un’ottantina di anni or sono fu il fascismo. Esattamente come gentiluomini d’altra fede non condannano e criminalizzano in blocco ciò che fu - ma che qui e là ancora è - il comunismo.

Ovvio che sia lecito non condividere l’uno o l’altro punto di vista, ma altrettanto ovvio è che tutti - articolo 21 della Carta costituzionale - hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Se poi ad un Pierferdinando Casini, mettiamo, non gli sta bene, pazienza. S’attacchi.

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