Milano La linea è sottile. «Non parlo di abusi, piuttosto di eccessi». Ma tanto basta. Sa che il rischio è di essere «impopolare rispetto alla mia categoria». È una voce fuori dal coro. Che fa rumore. Francesco Saverio Borrelli, ex capo del pool di Mani pulite, già procuratore generale di Milano, interviene sul tema caldo delle intercettazioni. L’occasione è ufficiale. All’inaugurazione dell’anno giudiziario nel capoluogo lombardo, Borrelli chiama i magistrati a un «esame di coscienza».
La premessa è d’obbligo. «Non è possibile fare a meno delle intercettazioni», esordisce Borrelli, e «non bisogna privare magistrati e forze dell’ordine di questo strumento». Poi, l’affondo. Perché «io mi considero ancora appartenente alla magistratura e seguo le vicende con lo stesso rigore e autocritica che avevo quando esercitavo la professione». E per questo spiega che «probabilmente era inevitabile una riforma», ed era «necessario autolimitarsi. C’è stata un’eccessiva facilità, in buona fede, nel protrarre a tempo indeterminato le intercettazioni». Il senso è chiaro. «Se dopo un ragionevole periodo di controllo non emergono fatti rilevanti, bisogna chiudere», anche perché «se fatte a macchia d’olio sono pericolose». «Io - insiste Borrelli - non ho mai ritenuto che i pm abbiano delegato all’uso delle intercettazioni le loro capacità di indagine», tuttavia «è possibile che con la speranza di riuscire a trovare elementi che possono rafforzare l’accusa» queste si siano «protratte a tempo indeterminato». Un limite, ricorda l’ex procuratore, esiste già. Sessanta giorni. «È un termine necessario a conciliare l’efficacia delle indagini e il rispetto della riservatezza dei cittadini». E, in tema di privacy, Borrelli ne ha anche per l’informazione. «Ha delle responsabilità, se la magistratura deve autolimitarsi anche la stampa dovrebbe farlo».
Nella stessa aula, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo rilancia. «Se fosse stata applicata correttamente la norma, il legislatore non sarebbe intervenuto». Il problema, però, è che «le norme vengono dimenticate dalla pratica quotidiana». E quello che per Borrelli è un «eccesso», per Caliendo, ex magistrato, diventa «un’abitudine». L’abitudine «ad attivare le indagini solo con le intercettazioni e sappiamo tutti quali sono state le conseguenze sotto il profilo di influenza sulle indagini e sotto quello della privacy». Di vero e proprio «abuso», invece, parla il pg di Catanzaro, Enzo Jannelli. «Ben vengano norme più rigorose: finora ne hanno abusato tutti, magistrati e giornalisti». Di fronte a uno strumento «tanto indispensabile quanto invasivo, va trovato un equilibrio, garantendo l’utilizzabilità solo di quelle che hanno rilevanza penale».
Da Napoli, il ministro della Giustizia Angelino Alfano assicura che «non si sta limitando l’uso delle intercettazioni per alcun reato. Il nostro ddl tutela lo strumento delle intercettazioni e la privacy dei cittadini». Ma «il sistematico aggiramento della norma del codice attualmente vigente ha prodotto la necessità di intervenire».
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