L’ex legionario che fa i presepi: «Sono addestrato alla pazienza»

O schiatti nel fango o diventi una macchina di guerra. Se ti arruoli nella Legione Straniera sai cosa ti aspetta: una vita di rinunce, un addestramento spietato, una disciplina di ferro. «Vi siete arruolati per morire - era il benvenuto alle reclute - e noi vi mandiamo là dove si muore». Nella Lègion si andava per cancellare un amore infelice, per spirito d’avventura, per dimenticare se stessi, dopo aver dilapidato fortune o infranto leggi, era «Beau geste», Gary Cooper e Ray Milland, il forte Zinderneuf e le lunghe marce sotto il sole, ma anche Totò Sceicco, Gastone marchese di San Frustone, la principessa Fatma e l’arabo di Bitonto, avventurieri, rinnegati, nobili decaduti. Mario Ciolli era uno di loro, un soldato di ventura del corpo di volontari più famoso del mondo. Oggi ha 39 anni, il fisico compatto e un sorriso contagioso. È romano di San Giovanni dove sta Palazzo Laterano, una volta residenza dei papi, ma anche milanese come la sua piccola Chiara nata un mese fa e che lui chiama «a’ regazzina». In quel tritacarne fisico e psicologico, Full metal Jacket che vivi sulla pelle ogni giorno, c’è stato cinque anni, dal 1998 al 2003. Senza nostalgie ma senza pentimenti: «Lo spirito d’avventura è sempre stato una delle bussole della mia vita». Veniva dalla Marina, ad arruolarsi lo ha convinto un amico. Più che un esercito una filosofia di vita: «Lo spirito di gruppo nella Legione è tutto: uno per tutti, tutti per uno come i moschettieri. Non ci sono differenze se sei ricco o povero, colto o ignorante, credente o ateo: lì vieni giudicato solo per quello che vali». La kèpi blanc, l’onore e la fedeltà, il marcia o crepa. E tanti giorni intensamente vissuti. Sbarca a Marsiglia, fabbrica di soldati, e non ha più un attimo di tregua: «Lì sei sempre operativo, le esercitazioni sono continue, non ti puoi rammollire mai». Ma alla guerra, quella di tutti i giorni, lo ha abituato la vita. Ha fatto di tutto: vigilantes, idraulico, pizzaiolo, falegname, guardia del corpo, imbianchino, con la prima paga giornaliera, ancora bambino, comprò per prima cosa una confezione di Baci Perugina alla mamma, ha anche lavorato per tre mesi in Umbria a costruire case per i terremotati, mille volte è caduto, mille volte ha ricominciato: «Io non mi spavento di fronte a nulla, questo ho imparato nella Legione, ma questa è anche la mia indole. Anch’io ho i miei momenti duri, non sono mica Robocop. Ma la differenza la fai quando reagisci, quando ce la fai anche se hai freddo, fame, sonno. Io poi sono un ottimista per natura».
Adesso gestisce una portineria in piazza Lima, dove vive con Lucrezia, la moglie, e Chiara che lo tiene vigile e attento come un legionario soprattutto nelle notti senza sonno. Ed è l’uomo più ricercato del quartiere. Perchè fa presepi, magie fatte di niente, e tutti ne vogliono uno, da mettere in casa, da esporre in vetrina, da regalare alla chiesa. Se va bene ne fa una quindicina all’anno: «Ci vuole pazienza che non t’immagini, almeno venti giorni per farne uno, pezzettino per pezzetino». Usa quello che ha, radica d’olivo della Puglia, paglia, stecchini, «tutta roba naturale» lavora gli omini uno per uno, con il taglierino, cuce e incolla, lavora su ogni minuzia, su ogni dettaglio, come fosse un piano di guerra, concentrato come in trincea. L’ultimo è esposto nella vetrina di un’enoteca di via Ozanam, per strada lo fermavano tutti per contemplare la meraviglia. La passione gliel’ha trasmessa papà Settimio, settimo di undici figli, prete missionario, che a trent’anni però abbandonò la tonaca, ad iniziarlo ai presepi è stato Padre Valerio, frate del convento di Rieti, «poi di mio ci ho messo tanto esercizio». Vince premi dappertutto, da Pomezia a Milano, il suo sogno è realizzare paesaggi: battaglie famose, paesini in miniatura «poi magari fare una mostra tutta mia». A Mario, legionario presepista, la divisa è rimasta cucita addosso ancora oggi. È diventato Rangers d’Italia, il fine settimana lo spende per proteggere parchi e opere d’arte.

Da «Legio Patria Nostra» il suo motto è diventato «Serva ordinem et ordo servabit te» cioè «mantieni l'ordine e l'ordine manterrà te». Chiara lo guarda e sorride, orgogliosa del papà. Piccola come la statuina di un presepe.

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