L’illusione di resuscitare la vecchia Dc

La nuova Democrazia cristiana, dunque, è alle porte, minacciosa come Annibale per i due poli. Il bipolarismo? Ferito a morte dalle regionali e dall’ultimo referendum abortito. «Nei modi, nelle forme, nei metodi» deve tornare la Dc, eterna, immutabile, immarcescibile. È questo il messaggio, incalzante come un rullo di tamburi, che lancia Paolo Cirino Pomicino, rincuorato dagli scricchiolii che crede di percepire nel centrodestra e nel centrosinistra. A confortare l’ex ministro democristiano, a parte i presagi dei crolli sperati, ci sono anche alcuni pentiti dei poli, lui ne fa i nomi sul Corriere e allora ecco il fervore degli incontri e dei colloqui, degli sforzi tesi a rimettere in mare la Balena bianca spiaggiata anni fa. Giulio Andreotti è freddino – e ciò dovrebbe pur dire qualcosa – ma non sarà questo dettaglio a frenare l’energia indomita dell’uomo chiamato Geronimo.
Paolo Cirino Pomicino è indubbiamente un dirigente per vocazione che ha meritato di sopravvivere al disegno liquidatorio di Tangentopoli, ha intuito ed è anche spiritoso, come quando dice che «per fare il ministro occorre avere un minimo d’incompetenza». Ma queste qualità sono azzerate da una nevrosi politica, il complesso del perseguitato. «Noi dc siamo un’etnia politica perseguitata per dieci anni» spiega ed è ingannato, nella lettura delle vicende italiane, da un velo di rancore che lo inchioda al passato. La stagione di Mani pulite deve essere ancora compiutamente indagata e merita di essere criticata per gli abusi e le parzialità che l’hanno caratterizzata, ma questo non legittima la clonazione della Dc e il tentativo di retrodatazione della politica italiana, ove mai fosse possibile.
Alle corte, l’errore che compie Cirino Pomicino nell’analizzare i risultati del (non) voto referendario è quello di cogliervi la prova dell’esistenza di una maggioranza «di cattolici» (come l’intendevano i democristiani) e non di una maggioranza di «moderati», che sul piano dell’etica e della politica si sono incontrati e continueranno ad incontrarsi. La differenza non è di poco conto. Il partito «dei cattolici» o «di cattolici» che abbiamo conosciuto è passato dalle posizioni nette del 18 aprile 1948 al disegno illiberale del «compromesso storico» ed è proprio per questa ambiguità di percorso che la Dc ha perso progressivamente la capacità di attrarre la maggioranza moderata del Paese. I moderati, pur provenendo da storie ed esperienze diverse, di destra e di sinistra, non intendevano e non intendono affidarsi alla sinistra nella quale più evidenti sono la filiazione e l’eredità comuniste. Proprio per questo hanno spesso votato numerosi la Dc che prometteva di ergersi a «diga», e l’hanno votata non perché cattolici, ma «turandosi il naso», come scrisse Montanelli riprendendo l’espressione di Salvemini.
E questo resta il punto fondamentale. La Dc che Cirino Pomicino sogna agitando le cellule staminali dello scontento si riserverebbe, come al solito, un’ampia libertà di manovra («più avanti dovremo decidere se stare da soli o imparentarci con la destra o con la sinistra»). Vecchia storia, ma i moderati sono cresciuti, non accettano più di portare i voti all’ammasso perché un sinedrio di notabili o cavalli di razza ne disponga senza dover rendere conto. Torniamo a modi, forme e metodi che ben conosciamo? Abbiamo già dato.
L’idea bipolare è ormai più forte delle turbolenze che possono scuotere le coalizioni. L’idea della casa comune dei moderati non è di facile realizzazione, anzi, ma certamente piace più alla maggioranza degli elettori che alla dirigenza di centrodestra e questo, alla lunga, peserà.
Geronimo è brillante e, con la congiuntura che ci ritroviamo, lancia agevolmente frecce per sollecitare una diversa politica economica.


Ma cosa avrà mai da proporci la Dc resuscitata? Il consociativismo che ha dilatato la spesa pubblica? Quel partito di cattolici, che Cirino Pomicino rimpiange, in fatto di conti fu spesso poco moderato e talvolta lo fu troppo. Per eccesso di mediazioni e di compromessi. Per mancanza di fermezza.

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