L’«imperatore» venuto dall’isola di Gorm

Sogni, obiettivi e battute sul calcio e dintorni

L’«imperatore» venuto dall’isola di Gorm

Non conoscevo la storia dei «gormiti» e dell’isola di Gorm. Grazie alla mia nipotina Sofia ho saputo che Enrico Preziosi (“imperatore dei giocattoli” come ama definirsi lui, non “re”) è il prezioso «tenutario» di tutti questi gormiti e che ne dispensa a centinaia di migliaia in tutto il mondo. Durante una trasmissione televisiva ho avuto il coraggio di chiedergli di mandare in redazione un’«isola», visto che a Genova non si trova più un «gormita» neppure a pagarlo a peso d’oro. È così che ho avuto modo di chiacchierare a lungo (sia in Tv che fuori onda) con questo personaggio così chiacchierato, così attaccato, ma anche così amato che si chiama Enrico Preziosi. Nonostante le infinite bufere di ogni ordine che gli si abbattono in testa sembra divertirsi un mondo nel dichiarare: «Sono sereno, tranquillo, ho la coscienza a posto». E aggiunge con un sospiro lungo: «Visto che sia la giustizia sportiva sia quella ordinaria ce l’hanno con me, spero e confido solo in quella Divina». Straordinario davvero.
È piacevole confrontarsi con uno dei grandi imprenditori del giocattolo internazionale, attivi di milioni di euro ogni anno, fatturato in crescendo, la Borsa che lo attende come protagonista. E lui a vivere una eterna sofferenza di colore rossoblù. Un bel momento si lascia scappare: «Ma cosa c’è in questa città e in questo Genoa? Una maledizione ...» Già, proprio così, caro presidente. Gli faccio presente che la mia tesi è che il Genoa sia un «fatto paranormale» che abbia (come ciascuno di noi) nel suo Dna quel «qualcosa» che lo ha sempre portato, dalla nascita ad oggi, a vivere di stress, di sofferenze, di tensioni infinite. Non ha molti peli sulla lingue Preziosi, è caduto davanti alle telecamere, ma nemmeno tanto. Sulla nostra città dice cose, a mio avviso, molto giuste, da manager vero: «È una città difficile. Potrebbe essere al centro del mondo, ma non è così. È dominata da poche persone, sempre le stesse, che la tengono stretta nei loro affari. Chiusa, contornata in se stessa. Un peccato: pensate che il flusso dei miei prodotti passa proprio da qui, dal suo porto, dalle sue strade, eppure ...».
Eppure caro presidente, i genovesi sono questi. Sono quelli del «maniman», sa cosa vuol dire «maniman»? Meglio fermarsi di fronte ad un progetto, perchè «non si sa mai». E così da cento e cento anni. Lui dice di interessarsi «solo» al suo Genoa e ai suoi tifosi, ma non è così: è entrato nel tessuto umano e socio economico della città. E l’ha analizzata benissimo: «Ho cercato di capire. Ad esempio per me un sindaco dovrebbe avere più a cuore le sorti dei suoi cittadini, il mio identikit di sindaco è questo: la gente è quella che conta, i suoi bisogni, le sue esigenze». È, in fondo, la tesi del suo «dirimpettaio» quel Garrone che lui non nomina, così come non nomina mai la Samp: «Quell’altra squadra, quell’altra società, quelli là ...». Sembra di ascoltare l’indimenticabile presidente Paolo Mantovani: anche lui diceva «quella squadra ...». Ma anche se, come presidenti, non si confrontano, i due che sono imprenditori veri, hanno chiaramente fotografato la città.
Curioso, indiavolato, spregiudicato protagonista della vita italiana questo presidente. Mi confida che ha comprato già una parte della lussuosa dimora di Lele Mora («Non mi faccia parlare dei vari scandaletti») ed ha intenzione di continuare a giocare a calcio e a tennis e a creare «performance» estive sulla Costa Smeralda. È vero, bufere giudiziarie sì, ma anche e sempre tanta voglia di vivere, di divertirsi e, magari, di vincere una volta tanto con i colori rossoblù. «Vede - mi confessa - ora siamo pronti ad andare nella massima serie. Ma poi, quando ci siamo, io non voglio galleggiare, come fanno altre squadre (la Sampdoria? ndr), voglio vincere, voglio guardare sempre ai più alti obiettivi. Perchè nulla è più bello di un sogno che si realizza, nulla è più bello che puntare verso l’alto».
Ma ha mai pensato, questo presidente, dopo tante sventure, di abbandonare questo «sogno rossoblù», visto che una certa «maledizione» ...? Sorride e sembra, furbescamente, uno dei suoi piccoli protagonisti che escono dallo scatolone dei suoi giocattoli: «Non ho mai pensato, mai avuto un attimo di incertezza. Quando entro in una avventura la voglio vivere fino al massimo dei risultati. Capisco che, nella mia situazione, avrei potuto fermarmi, ma non è il mio carattere. E poi i miei tifosi come si fa ad abbandonarli?».
È strano e curioso al contempo che un personaggio così amabile, simpatico, battutiere fra amici, abbia difficoltà ad «esternare», a comunicare ad esempio con i giornalisti: «Ma sa ... a volte scrivono cose sbagliate, senza chiedere a me. Allora mi arrabbio. Allora ...» Allora non gli rilascia più interviste, li abbandona? «No, questo no». Ultima stretta di mano, mentre lo sguardo si stende giù verso il porto affascinante sotto la luna. E non manca di lusingarmi con una annotazione: «Sa, caro Sirianni, leggo sempre i suoi divertenti pettegolezzi in tribuna stampa, non le sfugge niente, gradevoli ... ma adesso non li scrive più.

(«Sono stato “eliminato”, presidente e non so perchè, o forse lo so ...») un peccato, mi divertivano molto». Chiudo. In attesa dell’«Isola di Gorm» e di quell’isola «che non c’è» come canta Bennato e che, si chiama Genoa. O no, presidente?

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