Nautica

"L’industria nautica è una risorsa"

UCINA: LETTERA APERTA A MONTI E PASSERA Albertoni lancia l’sos e «suggerisce» quattro linee guida che allo Stato non costerebbero un euro. IL CENSIS «Ogni euro investito per produrre una barca ne genera 4 nell’indotto». AUSPICIO «La fusione dei ministeri Sviluppo e Trasporti agevoli le nostre istanze»

"L’industria nautica è una risorsa"

«L’industria nautica da dipor­to italiana è un fiore all’occhiello nel più vasto ambito della produ­zione manifatturiera di eccellen­za, l’unico capace di tirare il Paese fuori dalle secche. La nautica non è solo player globale - che vede l’Italia seconda al mondo e prima nella costruzione di grandi yacht­ma anche contenitore e veicolo per una serie di prodotti del made in Italy : dall’illuminotecnica al­l’arredo, dalla pelletteria all’elet­tronica ». Caro governo ti scrivo... Ucina-Confindustria Nautica, consapevole del proprio ruolo in un momento di grave crisi, tiene alto il profilo e scrive al governo, in particolare al premier, Mario Monti, e al ministro dello Svilup­po, Corrado Passera. Anton Fran­cesco Albertoni, infatti, auspica che l’esecutivo«consideri soprat­tutto le capacità del settore di ge­nerare il più alto moltiplicatore del reddito e dell’occupazione di tutto il cluster marittimo», ricor­dando, fra l’altro, che il nautico è uno dei pochi settori che ha delo­calizzato in minima parte.

E ancora. Secondo il recente «IV Rapporto sull’economia del mare»,appena licenziato dal Cen­sis, «ogni euro investito nella pro­duzione di imbarcazioni ne gene­ra 4 di ricchezza nell’indotto, ma soprattutto per ogni occupato di­retto nascono 6,4 nuovi posto di la­voro. La crescita della nautica, in­somma, è interesse generale del Paese. E il ritorno al livello produt­tivo del 2008 compenserebbe ab­bondantemente l’aumento di un punto percentuale dell’Iva».

In altre parole il settore potreb­be ripartire, e subito, con pochi provvedimenti a costo zero, in gra­do «di produrre gettito per l’era­rio, e che completino il quadro di­segnato dal precedente governo ». Albertoni, inoltre, auspica che «la fusione dei ministeri dello Svi­luppo economico e dei Trasporti agevoli l’accoglimento delle no­stre istanze ». E suggerisce quattro linee-guida principali oltre al no­do delle concessioni demaniali per i porti e gli approdi turistici.

Si tratta dell’estensione del «re­gime di margine» alla cessione di contratti di leasing: consentireb­be al cantiere che acquista una barca usata di non ripagare l’Iva già versata dal privato, vale a dire il primo acquirente, per poi riven­derla a un terzo versando l’Iva so­lo sulla differenza fra la somma di acquisto e quella di rivendita.

«Questo meccanismo, molto diffuso per le auto- scrive Alberto­ni - permetterebbe di rilanciare il mercato dell’usato, totalmente bloccato, e di farne il volano per quello del nuovo, cui è evidente­mente collegato. Le semplificazio­n­i amministrative per le navi da di­porto, invece, sono intese a ripor­tare in It­alia la flotta internaziona­le che ha scelto la Francia come ba­se di armamento, beneficiando in questo modo dell’importante in­dotto (economico, fiscale e occu­pazionale) generato dalla manu­tenzione e dal refitting».

Oggi per aprire la pratica doga­nale, e quindi stare in acque ita­liane, un armatore di un’unità battente bandiera extraeuropea deve anche assumere il tricolore e iscriversi nei nostri registri: «Nella vicina Costa Azzurra, in­vece, questa operazione viene fatta senza obbligo di adottare il tricolore sulla poppa. Solo que­sta opzione - sostiene Albertoni - è in grado di far giungere nelle casse dello Stato 150 milioni di euro in tre anni grazie alle impo­ste sull’indotto».

Il terzo «suggerimento» mira a far decollare il noleggio delle pic­cole unità «facendo nascere nuo­ve piccole aziende, e al contem­po fare emergere l’attività in ne­ro. Si prevede un regime sempli­ficato per gestire unità di dimen­sioni minori, sia dal punto di vi­sta dei titoli alla conduzione, sia del sistema contabile e della rela­tiva tassazione da adottare».

L’ultima richiesta riguarda inve­ce la logistica e - dopo la parziale semplificazione dei trasporti ecce­zionali adottata dal cosiddetto «Decreto Sviluppo» dello scorso maggio - mira a semplificare le modalità di trasporto delle picco­le unità producendo un abbatti­mento dei costi. Resta, infine, il dossier delle concessioni demaniali che schiac­cia i porti e gli approdi turistici. Lo studio presentato alla stampa du­rante lo scorso Salone Nautico di Genova dimostra quanto queste imprese «siano capaci di incidere sulle economie dei comuni costie­ri e quanto sia interesse generale non cacciarli sull’orlo del baratro. Basti dire che un marina turistico ha mediamente 12 assunti diretti e genera altri 77 posti di lavoro, di cui 54 e mezzo legati all’area por­tuale (incluso il commercio) e la restante parte disseminati sul ter­ritorio. Nella finanziaria del 2007 i porti vennero arbitrariamente equiparati agli stabilimenti bal­neari e ad essi fu applicato un ab­norme aumento dei canoni». La cosa più grave è che questa modifica non è stata predisposta solo per le concessioni future, ma anche per quelle in essere.

«Le prime pronunce giurispru­denziali ci fanno ben sperare ­commenta Albertoni - ma prima di arrivare a una situazione critica sarebbe bene che il governo valu­tasse come correggere quello che è certamente un errore».

Dopo la «tregua fiscale» siglata a Genova, l’industria nautica in difficoltà ha ancora diversi crediti da incassare.

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