Paolo Marchi
Avrà anche avuto «una squadra più forte che in passato» Sven Goran Eriksson ma il risultato non è cambiato ieri a Gelsenkirchen rispetto ai mondiali di quattro anni fa in Giappone (col Brasile) e agli Europei del 2002, col Portogallo: lInghilterra è fuori dalla coppa perché non sa battere i rigori (out pure nel 90 nella semifinale con la Germania e negli ottavi del 98 con lArgentina, più due amarezze agli Europei, 96 e 2004) e lui, lo svedese con i bagagli già pronti, è stato messo nel sacco una terza volta da Scolari. Sullisolone di sua maestà, dove il premier Tony Blair era pronto a ballare la danza cara al perticone Crouch, dove hanno via via visto rompersi i grandi idoli, prima Owen e ieri Beckman, per non scordarsi di Rooney, mai completamente ripresosi da una frattura a un piede, possono solo guardarsi dentro e interrogarsi sul loro autentico tasso di classe, perché i club hanno dna ben diversi dalla nazionale.
E poi i nervi. Rooney unica punta per permettere gli inserimenti di Lampard e Gerrard, Rooney che in avvio, all8, riuscirà a impegnare Ricardo, prima che le difese prendessero il sopravvento e trasformassero questo quarto in una partita altamente tattica, mai del tutto soporifera, ma nemmeno un confronto spavaldo, qualcosa che alla lunga ricorderà una partita a scacchi dove nessuno cercherà la mossa a sorpresa, laffondo in velocità, quasi che entrambi i tecnici fossero convinti che, subita una rete, non ci sarebbe stato modo di pareggiarla.
Il gol è stato così cercato con laccortezza e la pazienza del cammello che deve passare per la cruna delle sacre scritture, modi raffinati nei quali non tutti si sono ritrovati. Di sicuro non Rooney che al minuto 17 della ripresa, stretto tra due portoghesi, finirà con lappoggiare una scarpa sulle delicate intimità di Carvalho con larbitro lì a vedere tutto. Rosso e inglesi in dieci, bravi a ricevere i complimenti di Scolari («Ha chiuso così bene gli spazi dietro che parevamo giocare ancora 11 contro 11»), la bestia nera di Eriksson, ma non a rimanere freddi dal dischetto esattamente come due anni fa in Portogallo.
In Giappone Scolari guidava il Brasile, a Lisbona la stessa squadra di ieri. Rispetto a quel match ha ripetuto il cambio scaramantico tra Figo, esausto, e Postiga, che poi segnò portando i suoi ai supplementari e che ieri è andato a lungo a farfalle, salvo ritrovarsi dal dischetto. Nel 2002 Ricardo paratutto e pure goleador a sorpresa. Ieri è bastata la versione saracinesca. Ha respinto il tiro di Lampard, sfiorato quello di Hargreaves, parato su Gerrard e Carragher. Di contro, alla rete di Simao seguiranno il palo di Viana e il tiro fuori di Petit, prima che Postiga riportasse il Portogallo in vantaggio, lasciando a Cristiano Ronaldo il rigore del ko e della gioia infinita di un popolo che non andava così lontano a un mondiale dal 66, quando in Inghilterra perse in semifinale con i padroni di casa. «Ora siamo più vicini alla finale», la verità disarmante di Scolari che non ha ancora discusso il suo futuro con i portoghesi e che non rifiuterebbe una chiamata degli inglesi. Ma questo è il futuro. Adesso è festa come ricordato da Ricardo: «Se dicessi che sono felice sbaglierei, sono strafelicissimo perché grazie a Dio sono riuscito a respingere tre rigori.
E gli inglesi a casa con le scuse di Eriksson: «E dire che ci eravamo allenati dal dischetto... Non meritavamo di perdere e uscire così fa malissimo perché è un dolore già provato». E unidea per rimediare?
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