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L’INTERVENTO

Dopo le recenti notizie di brutali abusi sui minori si sono levate molte voci, anche di personaggi politici che sono voluti intervenire nel dibattito. Questo è un fenomeno purtroppo ricorrente, che si ripete sull’onda dell’emozione, ma che non è accompagnato da una risposta serena alle reali esigenze della società di fronte a simili fatti.
Due almeno sono i possibili problemi: quale è la reale tutela dei minori; quale miglior difesa opporre all’abuso sui bambini.
La premessa è che il fenomeno dell’abuso sui minori (benché di varia gravità: non tutti muoiono né sono violentati, grazie al cielo) è molto più ampio di quanto alcune voci preferiscano sostenere e far credere.
Altra premessa è che la pedofilia deve essere configurata come una vera e propria lobby, che possiede voci autorevoli a sua difesa.
Sui minori è possibile affermare, con una certa tristezza, che l’Italia è sicuramente carente di una politica coordinata che sia definibile «bambinocentrica», ossia di una serie di interventi che abbiano a cuore il minore. Questa carenza è a livello legislativo, ma soprattutto a livello amministrativo: basti pensare alla dispersione scolastica, al lavoro nero, alla delinquenza minorile, ai bambini ridotti in schiavitù per essere avviati alla prostituzione.
Primo passo nella giusta direzione è un’intensa e capillare opera di prevenzione sul territorio, intesa come contatto con le famiglie e gli educatori per aiutarli a comprendere la reale dimensione del fenomeno e i primi segni di allarme che il minore lancia quando inizia ad essere oggetto di attenzioni inadeguate alla sua età.
A livello statuale, di legislazione e di iniziativa ministeriale, spettano invece altri compiti: dal rilanciare le Commissioni sull’infanzia (come il Comitato di Garanzia Internet e Minori, che aveva dato ottimi risultati fino al 2006, ma che è stato affossato dal governo di sinistra per motivi ignoti), alla preparazione puntuale dei magistrati incaricati delle indagini, infine alla revisione delle norme del codice penale (articoli 600 bis e 609 bis).
Attenzione a parte merita l’ipotesi della cosiddetta castrazione chimica, cioè della soppressione androgenica (inibizione del testosterone con farmaci); le obiezioni a tale trattamento sono molteplici: l’azione farmacologica dura per il periodo nel quale il pedofilo accetta di sottoporsi al trattamento, quindi scompare rapidamente - per simili terapie è necessario il consenso del criminale, non potendosi trattare di «Trattamento Sanitario Obbligatorio» (TSO) alla luce della legislazione italiana - queste cure non sono ovviamente applicabili alle donne pedofile (ne esiste una percentuale, ridotta ma non trascurabile) -, il trattamento si limiterebbe a rimuovere l’impulsività ormonale, ma è inefficace contro il nucleo della malattia, la quale è precipuamente psichica.
Molto più utile, e importante per la società, sarebbe invece un’accurata revisione in sede processuale nell’applicazione delle attenuanti, nella durata effettiva delle carcerazioni (cui si deve associare una psicoterapia obbligatoria) se non anche nel porre limitazioni e controlli all’ex-detenuto scarcerato.


In effetti, se un pedofilo come quello del triste caso di Agrigento viene condannato - incredibilmente! - a soli sei anni e pochi mesi per plurimi abusi su diverse minori, gode dei tre anni di sospensione della pena (e c’è da chiedersi il perché, vista la pluralità di reati) e di un abbuono di altri tre per l’indulto, finisce per risultare sostanzialmente esonerato dalla pena detentiva.
*Deputata di Forza Italia Commissione Parlamentare per l'Infanzia
**Responsabile «Movimento per l'Infanzia» Regione Lombardia

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