L’INTERVENTO

Le dichiarazioni del vice-presidente del Csm, Nicola Mancino, sono un evento: mostrano che prende campo anche all'interno della magistratura il tema della riforma della giustizia. Mancino chiede la revisione del sistema di elezione del Csm, proponendo di affidarla per un terzo ai magistrati, per un terzo al Parlamento, per un terzo al presidente della Repubblica; chiede il superamento dell'obbligatorietà dell'azione penale; affida al Parlamento il compito di indicarne le priorità a maggioranza qualificata. Mancino si dichiara pure favorevole alla proposta di Lanfranco Tenaglia, secondo la quale devono essere tre giudici, e non uno soltanto, a decidere sulla custodia cautelare.
Mancino ha assunto il ruolo di garante dei diritti della politica in materia di giustizia in quanto vice-presidente del Csm eletto dal Parlamento. Ciò mostra che la Costituzione non intende l'indipendenza dei giudici come un'assenza della politica dalla determinazione della giustizia. Il Csm come organo di governo autonomo della magistratura intesa quale corpo separato non ha protezione costituzionale. Al contrario, la Costituzione richiede la partecipazione del Parlamento e del governo all'ordinamento della magistratura.
Mancino non avrebbe fatto queste dichiarazioni senza il consenso del presidente della Repubblica, che è pure presidente del Csm. La volontà del Quirinale è di ottenere la riforma. Questo è il primo gesto di legittimazione della politica nei confronti della giustizia compiuto non dal centrodestra, ma da un alto livello istituzionale. Un gesto compiuto da uomini che non provengono dall'attuale maggioranza.
Tredici componenti togati del Csm hanno espresso rammarico per le dichiarazioni del vice-presidente, perché ritengono che possa venir meno la funzione di garanzia dell'indipendenza dell'ordine giudiziario esercitata dal Consiglio. Ma Mancino non sarebbe intervenuto se non fosse certo del consenso non soltanto del Quirinale, ma anche di una parte significativa della magistratura, che non acconsente all'attuale evoluzione, che ha fatto dei procuratori della Repubblica i principali attori della politica.
L'intervento di Mancino pone anche all'opposizione il problema di prendere le distanze dal concetto di indipendenza dei giudici come corpo separato garante della morale pubblica. Questo concetto ha fatto dei giudici una categoria mitica, superiore a ogni sospetto, garanzia ultima dell'integrità dello Stato. Quella che chiamiamo "seconda Repubblica" è nata proprio dal fatto che i procuratori hanno assunto la funzione di giudici del sistema politico, con il circolo mediatico-giudiziario che ha finito col rendere impossibile ogni credibilità della politica e ha quindi indebolito realmente il senso dello Stato.
Ora l'opposizione dovrà decidere se concorda con il programma proposto da Mancino con l'evidente assenso del capo dello Stato. Il Quirinale è intervenuto, di fatto, nella vicenda politica, perché è il solo potere veramente indipendente ed autonomo che è rimasto nel nostro paese. La presidenza della Repubblica è cresciuta come autorità nel corso del tempo, soprattutto in seguito alla crisi dei partiti democratici della prima Repubblica, denunciata dal presidente Cossiga. Il Quirinale è divenuto così il motore delle istituzioni, unica autorità morale che possa competere con i pubblici ministeri come garante dell'etica pubblica.
Certamente l'intervento di Mancino è stato reso possibile anche da un cambiamento avvenuto all'interno del Partito democratico, che si accorge ora che la posizione di Di Pietro va contro il sistema politico nel suo insieme. L'incriminazione di esponenti del Pd ha fatto pensare che quello che è accaduto ai partiti della prima Repubblica possa ripetersi un'altra volta. Il fatto che i partiti che compongono il Pd siano usciti indenni da Mani pulite e dalle sue conseguenze non significa che essi non possano cadervi ora. Il potere giudiziario è un potere che può essere usato politicamente. Perciò, anche se non è nobile il fatto che siano episodi recenti a provocare sentimenti diversi nel Pd, rimane giusto che esso riconosca il principio per cui la magistratura non è garante dell'etica pubblica e della legittimità della politica.


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