L’intervento Altro che fondi a pioggia La Sicilia andrebbe commissariata

La politica uccide più della mafia? La strage di Messina induce a riflettere seriamente sul paragone, che sembra paradossale, ma non lo è.
I morti soffocati o spazzati come fuscelli in mare dalla valanga di fango e detriti non sono stati ammazzati, infatti, soltanto dalla Natura Matrigna. In concorso con lei, esterno ed interno, hanno agito come sicari gli amministratori siciliani, comunali, provinciali e soprattutto i deputati dell’Assemblea regionale, non solo quelli di oggi, visto che l’altura, venuta giù come un castello di carte, doveva e poteva essere messa in sicurezza almeno quarant’anni fa.
Viene da gridare al pensiero dei miliardi di lire e dei milioni di euro dei contribuenti, inghiottiti per decenni e fino ad oggi - erano stati da poco elargiti altri 11 milioni dal ministero dell’Ambiente -, non per fare il bene dell’isola e dei siciliani, bensì per lucrare, arricchirsi, sfruttare, annaffiare parassitismo e clientelismo. Fango e sangue restituiscono al popolo gli esosi fautori dei partiti del Sud, del Pdl o del Pd Sicilia.
Essendo garantista, mi si strozzano in gola gli appelli forcaioli, limitandomi ad un ragionamento duro, eppur dovuto alle vittime innocenti dell'Ars (acronimo beffardo, visto che non ha nulla a che vedere col bello).
Ho vissuto in Sicilia il tempo sufficiente per capire quanto siciliani e siciliane siano ospitali, simpatici, intelligenti, aguzzi, creativi, talora geniacci metafisici e vocati agli itinerari d’arte, sempre straordinari affabulatori, novellatori coinvolgenti e sofisti naturali.
Tuttavia, compresi anche che non sono capaci di autogoverno. Serve loro il greco, il romano, l’arabo, il normanno, lo svevo - mai tanto all’avanguardia e moderni come con Federico II -, l’angioino, lo spagnolo, addirittura il borbone napoletano, il bandito Giuliano o il democristiano romano, altrimenti si disperdono e rischiano di affogare nei rivoli del loro spropositato statuto speciale.
La stessa mafia probabilmente compensa siffatta incapacità ad autogestirsi, tant’è che ho ancora impressa negli occhi l’immagine oscena - robaccia degli anni Ottanta dello scorso secolo - delle bandiere rosse e dei dirigenti del Pci a far da cornice ai boss di Agrigento sfilanti in corteo a difesa del «diritto» - allora, definito proletario - all’abusivismo edilizio.
La Sicilia, certo, è vittima dell’idea di nazione garibaldina e mazziniana, visto che avrebbe potuto diventare un’altra stella della bandiera americana, farsi governare da Washington ed affrancarsi per sempre - cito la nota commedia - dall’aria del Continente.
Il separatismo abortì, magari per colpa dei forchettoni interni ed esterni, ed ora la nazione Sicilia si ritrova, come sovente le accade, a recitare il ruolo di pietra dello scandalo.
La strage di Messina rappresenta l’ennesima imperdonabile vergogna degli amministratori, i quali hanno continuato e continuano ad esigere finanziamenti, per assumere nullafacenti o impiegati di primo livello e, magari, dirottarli a lavorare a tempo pieno nella propria villa o sul proprio yacht.
La Sicilia, va pur detto, è in mano nostra, essendo governata in lungo e in largo dal centrodestra, dunque, il crimine totus politicus di Messina richiama soprattutto le nostre responsabilità.
L’amara verità è che la Sicilia - vedremo, poi, altre regioni del Sud -, altro che «questione meridionale», andrebbe commissariata e subito.


L’ideale sarebbe Silvio, il leader del fare, non dello sperpero, ma, in alternativa, indicherei Umberto o un suo stretto collaboratore, perché alla Sicilia servono come il pane i sindaci e gli amministratori padani.
La Trinacria, dunque, alla Lega Nord, sino al raggiungimento della maggiore età, perché la sua unica speranza di rieducazione al buon governo del territorio è la padanizzazione.

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