L’intervento La dignità non si conquista in piazza

Non voglio essere stigmatizzata come «moralista ipocrita» o «bacchettona». Credo però che il dibattito acceso su fatti molto contingenti, legati al presente, debba sopravvivere all’evento del momento. Utilizziamo quindi quello che sta accadendo oggi, mi riferisco alla contrapposizione del dolce sesso che si schiera pro e contro il popolo delle sciarpe bianche, per soffermarci a riflettere sulle questioni più radicali che pone. Annamaria Bernardini de Pace nel suo articolo del 9 febbraio 2011 afferma «Coltivo la differenza». Forte, precisa, profonda.
Esiste una dimensione diversa: quella del raccogliersi. Nel silenzio noi incontriamo una nostra verità. Meglio possiamo cogliere la pluralità di significati di questo momento storico. Nel quale sono in conflitto generazioni, strati sociali, donne e donne, uomini e donne sul senso della dignità. Chi si sente vittima è sempre estranea del tutto all’evento o non ne è magari causa involontaria, occasione scatenante? Non si tratta di giustificarne le azioni - anche quando e specie se delittuose - ma di comprenderne le motivazioni e perciò di tagliare, per quanto possibile, in radice le cause della colpa.
La relazione interpersonale esige rispetto per la diversità (o alterità) che può far sorgere una barriera, ma anche essere motivo di arricchimento di opportunità, lungo il cammino nella vita di ciascuno, se sappiamo metterci in dialogo. L’errore che sovente lo impedisce è causato dal fatto che il bisogno di «incontrare» l’altro ci porta ad assumere atteggiamenti di disponibilità e di apertura, ma inconsapevolmente cerchiamo di ingabbiarlo in quello che noi pensiamo di lui, invece di lasciarci raggiungere da quello che lui è. Ricordiamo le parole di Dante: Cred’io ch’ei credesse ch’io credette…!.
Voler essere la misura degli altri crea intorno disagio e fondato dissenso. È una forma di omologazione che va combattuta, perché impedisce di lasciare spazio all’originalità di ciascuno, di esprimere la propria diversità.
Certo, nei contrasti c’è ricchezza, c’è la voglia di esserci, di esprimersi; tuttavia non dobbiamo lasciare che il conflitto cresca e diventi distruttivo. D’obbligo ricordare che i tentativi di dare alla parte più istintiva di noi, spesso violenta, irrazionale o semplicemente impaurita, una giustificazione razionale, hanno sempre avuto le peggiori conseguenze sul piano dell’accettazione del «diverso», del rispetto della dignità umana, dell’evoluzione stessa delle società verso forme sempre più aperte al cambiamento e all’integrazione. Come dire: ho bisogno di eliminarti, ma se lo faccio è per colpa tua. Dal razzismo in poi gli esempi della storia sono, purtroppo, tanti.
Bisogna non sottovalutare che, mentre tento di ingabbiare l’altro mediante i miei significati, la stessa operazione la sta compiendo chi mi sta di fronte. …Vorrei poter fare a meno dell’altro, ma non posso. E questa affermazione quasi disperante altro non è se non il desiderio di un’autosufficienza impossibile da raggiungere. Siamo in realtà vincolati l’uno all'altro e non possiamo sottrarci alla responsabilità che ne deriva: è inevitabile e non sottoposta alla discrezionalità dell'uomo.
Responsabilità. Ad essa fa riferimento più volte Bernardini. E in effetti è strettamente connessa alla diversità. È l’esistenza dell’altro a determinare la mia responsabilità verso di lui: nei suoi confronti posso essere giusto o colpevole, mai neutrale. Anche quando decido di ignorarlo, a ben vedere, assumo comunque una posizione. Sono responsabile di ignorare l'altro. Perfino nella omissione, una delle colpe maggiori della società contemporanea, vi è una responsabilità. A maggior ragione nella critica generalizzata.
Responsabile è colui che sa prendere l’altro a misura della propria azione e del proprio limite, aprendo la strada alla vicendevole disponibilità.


Quindi non mi posso associare alla Bernardini quando, parafrasando il Manzoni, dice «È per questo che la dignità, chi non ce l’ha non se la può dare». Ciascuno ha il diritto di essere riconosciuto nella propria dignità ma, prima di tutto, deve averne intima convinzione. Non potrà mai riconoscere all’altro lo stesso diritto se non lo avrà riconosciuto a se stesso.

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