L’inutile guerra dell’Austria sull’Alto-Adige

Come in una telenovela dell’anacronismo, e nonostante la parola «fine» più volte sottoscritta, torna a rimbalzare la questione altoatesina in Europa. Non già perché il mondo veda con quali misure addirittura costituzionali e con quante miliardarie risorse la Repubblica italiana sia venuta incontro a tutte, ma proprio tutte le richieste di salvaguardia della più salvaguardata minoranza di lingua tedesca nel pianeta; a costo d’aver penalizzato oltre l’inverosimile la comunità nazionale di lingua italiana, rendendola minoranza in balìa della minoranza. Macché. Si riparla di Alto Adige, perché in Austria qualcuno vorrebbe infilare nella Costituzione del proprio Paese un preteso diritto di protezione, mai riconosciuto da alcuna istituzione nazionale, europea o internazionale, nei confronti dei cittadini italiani di lingua tedesca nella provincia di Bolzano. E l’ipotesi, di cui peraltro si vociferava da tempo, non dev’essere così peregrina, se Quirinale e Farnesina hanno concordato di annullare, in segno di silenziosa ma ferma protesta, la visita che Carlo Azeglio Ciampi doveva fare prossimamente a Vienna.
Purtroppo nel nostro Paese, che pur dispone di una tradizione diplomatica di prim’ordine, sovente si perde la memoria del punto di vista italiano nelle controversie - persino in quelle risolte - con altri Stati. Ma nel caso dell’Austria, gli immemori hanno la fortuna d’avere a disposizione almeno tre documenti (il Trattato di St. Germain del 1919, l’Accordo De Gasperi-Gruber del 1946, la quietanza liberatoria del 1992) che evidenziano, nero su bianco, quanto sia inutilmente provocatorio l’eventuale e incredibile inserimento, nel clima eccellente fra Roma e Vienna, di un riferimento alto-atesino nella legge fondamentale dell’Austria. Un Paese, per la cronaca e per la storia, che da quasi novant’anni (novanta!) non ha alcuna sovranità sul territorio a sud del Brennero.
Le istituzioni italiane si mostrano ora compatte nel respingere qualunque accenno, esplicito o implicito, all’Alto Adige o agli altoatesini nella Costituzione austriaca. Sotto il profilo del diritto internazionale, l’eventualità si configurerebbe come un atto ostile nei confronti dell’Italia; ostile e inspiegabile, a quasi quattordici anni dalla formale chiusura della vertenza con tanto di riconoscimento scritto da parte di Vienna (la già citata «quietanza liberatoria»). Ma sarebbe, inoltre, anche una violazione dei principi di leale cooperazione fra Stati membri sanciti di recente dalla Costituzione dell’Unione Europea. In ogni caso e a futura memoria: l’Accordo De Gasperi-Gruber, che è la madre di tutte le tutele, è stato adempiuto col primo statuto regionale del 1948. Le successive misure del cosiddetto «pacchetto» del 1972 sono una libera e unilaterale concessione del Parlamento della Repubblica, su cui nessuno, tanto meno un altro Stato, può rivendicare alcun diritto d’intervento, di garanzia o di protettorato coloniale. Secondo la dottrina e la giurisprudenza sempre invocate e applicate dall’Italia nella vertenza, un punto di vista che è stato ribadito per cinquant’anni in ogni sede italiana o estera - Nazioni Unite comprese - il presunto o desunto «ancoraggio internazionale» del pacchetto è totalmente privo di fondamento storico, giuridico e politico. Tanto più che gli alto-atesini di lingua tedesca (e ladina) sono cittadini italiani, neppure dalla doppia nazionalità italo-austriaca. Manca persino il presupposto perché l’Austria possa vantare la funzione che non ha. E se davvero volesse riscrivere la storia riscrivendo la propria Costituzione, rischierebbe d’essere l’Europa a subire i contraccolpi, politici e psicologi, di questo tardivo e un po’ ridicolo - ma non per questo da sottovalutare - capriccio pan-tirolese. Vienna ci ripensi: impuntarsi su questo, è più che demagogico. È semplicemente inutile.
f.

guiglia@tiscali.it

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