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L’ira del musicista: "Non sono un mostro qualcuno pagherà"

Il legale del congolese: "Cerchiamo la verità, altri invece pensano a coprire se stessi"

L’ira del musicista: "Non sono un mostro qualcuno pagherà"

Perugia - «Avvocato, ma che cosa sta succedendo lì fuori? Che cosa dicono di me i giornali e le televisioni? È incredibile che tutti mi dipingano come un mostro. Però io lo so che sono innocente, non c’entro con questo delitto e lo dimostrerò. E quando tornerò in libertà, quando questo brutto sogno sarà finito, qualcuno dovrà pagare per tutto questo, per tutto il male che mi sta facendo».
Nel carcere di Capanne, Patrick Lumumba Diya chiede giustizia e si sfoga con il suo avvocato, Giuseppe Sereni. È arrabbiato, perché sente di essere senza motivo dietro le sbarre. Ma a differenza del cielo color del piombo è sereno, e soprattutto è ottimista: «Spera di poter lasciare presto la sua cella», spiega il legale. Prima ancora di lasciare il carcere, Patrick già pensa alla «vendetta», vuol chiedere conto del suo comportamento a chi lo ha tirato nelle sabbie mobili di questa inchiesta.
«Voglio rivedere mia moglie, riabbracciare lei e il mio bambino, il mio bellissimo bambino», sospira ancora il congolese. Che almeno su questo già oggi, giorno di visite, sarà accontentato, dopo che sabato la donna e il figlio erano rimasti fuori dai cancelli per una questione procedurale. Quanto al ritorno alla vita di sempre e alla libertà, l’avvocato Sereni preferisce non azzardare previsioni. «Non abbiamo ancora visto il verbale dell’interrogatorio con il professore svizzero, anzi a dirla tutta non sappiamo nemmeno il suo nome, e dunque non ho in mano gli elementi per dire se questo docente conferma o meno l’alibi di Patrick. Ma comunque presenteremo l’istanza di scarcerazione non appena avremo tutti gli elementi necessari».
Per esempio, la conferma degli altri clienti del pub «Le chic» che avrebbero visto l’indagato all’opera dietro al bancone del suo locale il primo novembre, tra le 20.30 e le 22.29, orario di emissione del primo scontrino. Persone alle quali Sereni e il suo collega Carlo Pacelli si sono appellate da giorni, chiedendo a chiunque avesse bevuto una birra al «Le chic» la sera del primo novembre di farsi avanti e di raccontarlo. E ora il legale confida che questi clienti, molti dei quali stranieri, «sono già stati o stanno per essere convocati in procura, per testimoniare che effettivamente Patrick fosse lì nell’arco temporale in cui si è svolto il delitto». Perché al momento, di fronte al pm Giuliano Mignini, del gruppetto che può «scagionare» Diya si è seduto a mettere nero su bianco la sua verità il solo docente elvetico. Il fatto è che per i legali di Lumumba, il congolese in galera non ci sarebbe proprio dovuto entrare. «Nulla collega Patrick alla scena del delitto - chiarisce Sereni - o in generale a questo omicidio. Il nostro cliente era al lavoro nel suo pub, come tutte le sere, e come del resto ha sempre dichiarato nei suoi interrogatori. A coinvolgerlo in questa storia c’è solo la chiamata in correità di una persona, Amanda Knox. Una che per la stessa procura di Perugia mente.

Spregiudicatamente».

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